Vincenzo Capodiferro (maestrina) - "Arte e Cultura: Poesia, Romanzo, Scrittura, Musica e Teatro"

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Vincenzo Capodiferro (maestrina)

Raccolta di racconti, misticamente realistici, di Enea Biumi

“La maestrina del Copacabana” è una raccolta di racconti di Enea Biumi, edita da Genesi, Torino 2021: risultata vincitrice a “I Murazzi per l’inedito 2020” (Dignità di stampa Narrativa). Riportiamo uno stralcio della motivazione della giuria: «I cinque racconti del noto scrittore varesotto Enea Biumi, riuniti nel libro… risultano ambientati nell’arco di anni che va dal fascismo fino all’affermazione in Italia della civiltà dei consumi e del welfare, ma mantenendo uno sguardo di particolare attenzione al ceto contadino e per lo più piccolo-borghese, con qualche eccezione riservata ai ceti più agiati e ristretti della società…». Ah ceto contadino! Nostalgia degli intellettuali di tutti i tempi! Chissà perché? Mi fa ricordare con affetto quella civiltà contadina che anche io ho vissuto nella mia fanciullezza, quella civiltà tanto celebrata da Carlo Levi nel suo “Cristo” e perché no? Da Pier Paolo Pasolini nel suo “Vangelo”, girato a Matera. Quel bucolico Tityre tu patulae…! Sandro Gros-Pietro ci dà una sintesi dell’opera di Biumi: «Il racconto iniziale fornisce il titolo all’intero libro e mette a fuoco … la bigotteria bacchettona… della vita provinciale»: la protagonista è una “maestrina” di scuola elementare, Nuccia, che si fa chiamare Schilly, quando fa l’«intrattenitrice di locali notturni». «Nel secondo racconto si assiste ai divertenti e tortuosi percorsi di avanzamento sociale dell’intraprendente e galante Serafino che da trovatello riesce ad emergere…». «Il terzo racconto si dipana intorno al fil rouge dei luoghi sacri al poeta Ungaretti…». Il quarto racconto si presenta come romanzo breve, come sottolinea il Gros-Pietro, ed ha come protagonista «(…) un vecchio che rivede la sua esistenza, fino all’ultimo respiro». L’ultimo racconto è l’unico ad essere ambientato in un contesto di personaggi decisamente agiati, nel quale il maestro di windsurf compie la sua scalata fra piaggerie, incantamenti e meschinerie». A dire il vero anche la borghesia è scomparsa come ceto, non c’è più, c’è solo la sua ombra che viene inseguita come un mito. Ed anche gli operai, dove sono? Oggi abbiamo una massa amorfa e “baumaniamente” liquida, sulla quale galleggiano solo i super-capitalisti, nascosta nei loro club fantasmagorici. Biumi ci sorprende sempre, tanto che non ci peritiamo se lo sentiamo definire il novello Chiara. Ci offre in questa raccolta la sintesi di modelli ideal-tipici - nel senso weberiano - sociali: la maestrina, il povero risalito, il vecchio, il nobile caduto. Il proverbio antico diceva: Dio ci liberi dal povero arricchito e dal ricco caduto in povertà. Questo forte disagio sociale lo ritroviamo riportato in questi personaggi senza tempo, i quali come maschere pirandelliane (e ben conosciamo la passione teatrale del Nostro) sono sempre attuali. Noi lasciamo al lettore di gustare questi fantastici cinque piatti letterari, ci vogliamo soffermare solo su alcune riflessioni. La prima è la figura della maestrina, egregiamente tratteggiata dal Nostro: «Schilly… era insegnante al Pio Istituto del Sacro Cuore di Gesù. Aveva scelto quel lavoro non per vocazione ma per imposizione. Non che le piacessero i bambini. Tutt’altro. Ma avrebbe preferito un altro impiego. Magari segretaria. O consulente. O hostess. O animatrice dei villaggi vacanze. E invece… fu subito assunta… Sua madre, un tempo maestra… le fece da garante. Nonostante ciò il suo comportamento era irreprensibile. Nessuno avrebbe mai potuto avere alcunché da ridire. Mai la si era vista civettare con uomini, mai un alterco con chicchessia, mai un atteggiamento ambiguo… Anche il suo abbigliamento …». Che dire? Magistrale introspezione psicologia di una figura cardine che ha deformato intere generazioni. Inutile ribadire che maestrina era la madre di Benito Mussolini, Rosa Maltoni, e che lo stesso Benito era un maestro di scuola. Il fascismo deriva da questa malattia. L’altra riflessione che volevamo fare su quest’opera di Biumi concerne naturalmente il grande Ungaretti: è il terzo racconto, “Una corolla di tenebre”. È un omaggio al grande, vero, autentico maestro, che si contrappone alla figura della maestrina. Tra l’altro in una nota sottolinea: «Queste pagine, a firma di Giuliano Mangano, si salvarono dalle rovine della Casa editrice milanese «La Mentira», una volta domato l’incendio che nell’ottobre del 2017 la devastò quasi totalmente». È una parafrasi narrativo-esistenziale de “I Fiumi”: «Se Ungaretti nel torbido della Senna si è rimescolato e conosciuto, anch’io con il mio itinerario, dal Nilo alla Senna, come il Poeta, ho compreso chi fossi, in quei fiumi ho ritrovato me stesso». Un commento che Faceva Francesco Puccio a “I Fiumi” di Ungaretti: «L’immersione nelle acque, secondo il simbolismo che è ad esse proprio, comporta una morte iniziatica, cui segue una rinascita, una riconquista dell’identità perduta ed un’espansione dell’Io a tutte le modalità dell’esistenza» (Testi e intertesti del Novecento, Lecce 2000, p. 441). Così per il nostro Enea questa immersione nel fiume eracliteo (Panta Rei) dove l’acqua non è mai più la stessa, è un battesimo vero e proprio, una purificazione, una catarsi, che si sviluppa – aristotelicamente – attraverso l’arte, soprattutto l’arte tragica. Enea Biumi, pseudonimo di Giuliano Mangano, è nato a Varese nel 1949, si è laureato in Lettere all’Università Statale di Milano. Ha insegnato per tanti anni nelle scuole superiori, dove ha diretto anche un laboratorio teatrale. Ha pubblicato diverse opere: le raccolte di poesie “Viva e abbasso” (1985); “Le rovine del Seprio” (2010); “Il seme della notte” (2014); il romanzo “Bosinata” (2014). È presente nell’antologia degli scrittori varesini “I stràa d’ra Puesìa” con la raccolta “Quàtar vèers tiràa de sbièss” (2012). Ha collaborato a diversi volumi, come: “Consorzio Casa di Milano: 1962-1972” (1973); “Il movimento cooperativo italiano”, Baldini e Castoldi 1975. Ha scritto opere teatrali. Ha tradotto poeti in lingua castigliana di area sudamericana in collaborazione con Maria Luz Loloy Marquina. È stato direttore con Martin Poni Micharvegas della rivista “I poeti nomadi”. Fa parte del “Cenacolo dei poeti e prosatori varesini e varesotti”.
Vincenzo Capodiferro
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