Julio Paz - "Arte e Cultura: Poesia, Romanzo, Scrittura, Musica e Teatro"

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Julio Paz

JULIO PAZ

autorretrato con boina

NOTE BIOGRAFICHE

Julio Paz, pittore e incisore, è nato a Buenos Aires nel 1939.
Visse a Milano dal 1976
e dal 1986 alternò la sua attività
fra Milano, Buenos Aires e Berlino.
Dopo la sua formazione presso la Escuela de Bellas Artes Carlos Morel di Quilmes
 e la Escuela Superior de Bellas Artes Ernesto de la Cárcava,
insegnò disegno e incisione fino al 1976, anno in cui dovette abbandonare l'Argentina
a seguito del colpo di stato (ricordava quel periodo con le lacrime agli occhi).
Pochi mesi prima dell'esilio
 la Art Gallery Internatìonal dì Buenos Aires dedicò una mostra
alla prima parte della serie 'La condición humana',
composta da opere ispirate alla realtà politica e sociale argentina.
Tra il 1978 e il 1984 espose all'Accademia di Brera, a Palazzo Sormani (Milano),
a Santiago de Compostela e a Madrid.
Nel 1982 partecipò alla mostra "Artisti Latinoamerìcani in Europa"
nel Museo di Arte Moderna Ca' Pesaro all'interno della Biennale di Venezia.
Iniziò successivamente la serie di disegni, incisioni e dipinti
su 'La verdadera' entrada triunfal de Vincent en Bemal,
che verrà esposta durante la sua prima mostra antologica di pittura, nel 1985,
nel Collegio Cairoli dell'Università degli studi di Pavia.
La serie continua in 'Dios y noches con Van Gogh',
gruppo di ritratti ispirati al grande pittore olandese,
che il Palazzo Comunale dì Corbetta esporrà nel 1989.
Il 1985 è l'anno di due importanti rìconoscimenti internazionali:
alla Mostra dell'Incisione "The Hanga Annua!" nel Metropolitan Museum di Tokyo
e alla IV Biennale di Lodz in Polonia.
Nel 1986 ritornò in Argentina per esporre una mostra antologica di incisioni,
dipinti e disegni nel Museo Eduardo Sivori di Buenos Aires.
Nei 1987 ottenne un nuovo riconoscimento alla Triennale Internazionale Intergrafik di Berlino.
Gli anni successivi furono contrassegnati da mostre personali a Lubiana,
Berlino, Heidelberg, Amsterdam e Milano e dalla partecipazione ad esposizioni collettive
 a Parigi, Colonia e Alberta. La Zolla/Liebemann Gallery di Chicago
lo invitò nel 1990 ad esporre una serie di ex-voto, costruzioni, incisioni e dipinti;
in maggio, la mostra partecipò alla Internatìonal Art Exposìtion di Chicago.
Nel 1995 espose alla galleria Èva Poll di Berlino
la serie di dipinti Bemal /Berlin iniziata nel 1989.
Nel 1997 la Adolf and Esther Gottlieb Foundation di New York
gli conferì il premio alla carriera per la sua triennale attività artistica di pittore.
A settembre del 1998 fu invitato a partecipare al XXXVIII Premio Suzzara per la Pìttura:
il suo invio, un trìttico della serie 'Esotismo', ottenne "ex-aequo" il premio dell'edizione.
Nel 1999 partecipò alla IV Triennale internazionale dell'Incisione di Kochi, in Giappone;
la sua opera, 'Ella aleja mis penas', ricevette il Kochi Museum of Art Prize.
Ad aprile del 2000 il Centro de Arte Moderno di Quilmes
organizzò un'esposizione dedicata ad alcuni dei dipinti della serie 'Sobre calas y erotismo '.
In settembre fu invitato a partecipare al Premio di Pittura "Donato Frisia " a Merate,
dove gli venne conferito "ex aequo " il premio acquisto per l'opera 'Figura en un paisaje'.
In dicembre una sua retrospettiva di costruzioni, dipinti e incisioni
venne esposta alla Galleria Venti Correntì di Milano.
Nel 2002 fu invitato a partecipare al 53° Premio Michetti
 nella mostra "La città e le nuvole - Italia-Argentina",
 un omaggio al pittore Lucio Fontana. Nello stesso anno,
la galleria Groff & C. di Milano espose una sene di trenta ritratti
realizzati fra il 1980 e il 2000. In agosto 2003 tenne un corso dì pittura e disegno
per i detenuti del carcere milanese di San Vittore.
A gennaio del 2004 suoi dipinti recenti, incisioni e costruzioni
 furono in mostra alla Galleria del Barcon di Milano;
in giugno il Museo National del Grabado dì Buenos Aires ospitò una esposizione
 che illustrava la sua attività di incisore dell'ultimo decennio.
Dall'inizio di giugno alla fine di luglio collaborò con l'Accademia di Belle Arti di Macerata
in qualità di docente di tecnica e tecnologia della decorazione
nel master di II livello "Arti visive e disciplina dello spettacolo";
l'incarico prevedeva l'ideazione e la realizzazione delle scenografie e dei costumi
per allestimento delle due opere "La Serva Padrona di Pergolesi"
e "Le Devin du Village" di Rousseau in cartellone a Jesi per il Festival Spontini-Pergolesi 2004.
In settembre, la Kunststiftung Poll di Berlino
gli dedicò la mostra "Kleines Glück in der Oranienburger",
nell'ambito del festival culturale "Berlin-Buenos Aires".
Nel maggio del 2008 espose a Milano (Palazzo Reale)
"La Mano que",
nel febbraio del 2009 presso la Casa delle Culture del Mondo,
sempre a Milano,
inaugurò la mostra "ritratti di artisti-amori di una vita",
che si protrasse fino a maggio dello stesso anno.
Muore il 5 febbraio del 2010 a Milano.

DIALOGO SU CINQUE RITRATTI

DIALOGO SOBRE CINCO RETRATOS

Nel Café Gijón di Madrid,
el 15 de novembre de 1998
Edición del autor

Martín Micharvegas:   Testi  -  Relatos
 Julio Paz:   Ritratti -  Grabados
 

AUTORITRATTO CON FRATTURE

"Maestro! Le nuvole sono per sognare e non per essere attraversate con gli aerei!"
Perico Beltran a Julio Paz, nel Café Gijon di Madrid, il 15.XI. 1998

Erano dodici anni che non si incontravano.
Non è che non si scrivessero o dessero notizie su come gli andavano le cose
o non avessero conversazioni telefoniche per sorprendersi
con qualche buona notizia o con una nuova malaria.
Questo è il luogo!
Qui, in questi boschi ombrosi di separazioni forzate
è dove canta la rutilante voce dell'amicizia!
Decisero di farlo a Barajas.
Il Pittore, Milano-Buenos Aires, Buenos Aires-Milano,
avrebbe fatto scalo ogniqualvolta il Poeta avesse potuto avvicinarsi
per abbracciarsi e parlare.
Il Poeta avrebbe messo da parte qualsiasi cosa
per essere in aeroporto in quel giorno e a quell'ora.
Linee parallele d'aria congelata lasciavano le loro impronte effimere nel cielo freddo:
l'andare e il venire, le distanze strette con violenza, addii rapidi e rientri veloci,
il trafficare contemporaneo come un tratto disegnato a vapore, la realtà divoratrice sempre più affamata.
Si guardarono, cercarono il persistere dei sogni in fondo agli occhi,
ridevano mentre piangevano per i tempi andati che un tempo erano stati l'avvenire.
Scambiarono regali, presenti, commissioni.
Quel terribile perché delle cose, le bussole disorientate delle loro passioni:
terre libere, arie sane, spazi di creatività.
Forse si temevano.
Nessuno potrebbe tradurre l'intreccio di emozioni.
Ripassarono la lunga sfilza dei loro amori, gli strappi delle bocche,
l'amo d'oro inchiodato nel palato,
la salute che quando ce l'hai non ti rendi conto del valore che ha,
la moltitudine delusa dei loro paesi per niente immaginari.
Di ricordo in ricordo, di frattura in frattura,
come se fossero uccellacci libertari che cercavano per piacere nuovi roveri
su cui ergersi e cantare, in sei ore, corpo a corpo,
si mostrarono i segnali che la vita lasciò loro.
"Il volto dell'esilio è più spaventoso di quello della morte",
il Poeta parafrasò Shakespeare.
"Per alcuni avvenimenti il tempo non passa mai", disse il Pittore.
Le loro immagini che erano versi, i loro versi che erano immagini,
in altri occhi e lingue, in altri paesi.
Cosa importava che fossero scivolati e caduti?
Cosa importava che già sapessero che era uno sforzo esistere
e la libertà un altro grande sforzo e l'uguaglianza uno sforzo senza fine?
"Noi poeti cicatrizziamo in fretta."
"Noi pittori non ci rompiamo mai."

AUTORRETRATO CON FRACTURAS

"Maestro! Las nubes son para soñar y no para ser atravesadas con aviones!"
Perico Beltrán a Julio Paz, en el Café Gijón de Madrid, el 15.XI.1988

Hacía doce años que no se encontraban.
No es que no se escribieran y dieran noticias de cómo les iba o tuvieran conversaciones telefónicas
para sorprenderse con alguna buena o con una nueva malaria.
Este es el lugar! Aquí, en estos bosques sombríos de separaciones forzadas
es donde canta la rutilante voz de la amistad!
Concretaron hacerlo en Barajas.
El Pintor, Milán - BsAs, BsAs - Milán, haría escala siempre
 que el Poeta pudiera acercarse para abrazarse y charlar.
El Poeta dejaría cualquier cosa de lado para estar en el aeropuerto aquel día y aquella hora.
Líneas paralelas de aire congelado dejaban sus huellas efímeras
 en el cielo frío: el ir y el venir, las distancias estrechadas con violencia,
adioses rápidos y regresos veloces, el trajinar contemporáneo como un rasgo de vapor,
 la devoradora realidad cada vez más hambrienta.
Se miraron, buscaron la persistencia de los sueños al fondo de los ojos,
 se reían mientras lloraban por los tiempos idos que habían sido alguna vez el porvenir.
Intercambiaron regalos, presentes, encargos.
Aquel terrible por qué de las cosas, las brújulas desorientadas de sus pasiones: tierras libres,
aires sanos, espacios de creatividad.
Tal vez se temieran.
Nadie podría traducir las enredadas emociones.
Repasaron el largo espinel de sus amores, las desgarraduras de bocas,
el anzuelo de oro clavado en el paladar,
la salud que mientras la posees no te das cuenta del valor que tiene,
 la multitud decepcionada de sus países nada imaginarios.
De recuerdo en recuerdo, de fractura en fractura,
 como si fueran pajarracos libertarios que buscaran por goce nuevos robles donde erguirse y cantar,
en seis horas, cuerpo a cuerpo, se mostraron las señales que la vida les dejó.
"El rostro del destierro es más terrorífico que el de la muerte",
el Poeta parafraseó a Shakespeare.
"Para algunos acontecimientos el tiempo no pasa nunca",
dijo el Pintor.
Sus imágenes que eran versos,
sus versos que eran imágenes,
en otros ojos y lenguas, en otros países.
Qué importaba que hubieran resbalado y caído?
Qué importaba que ya supieran que era un esfuerzo existir
y la libertad otro gran esfuerzo
 y la igualdad fuera un esfuerzo sin fin?
"Los poetas cicatrizamos pronto."
" Los pintores no nos rompemos jamás."
 



Autoritratto con fratture
  Autorretrato con fracturas

ISTANTANEA

"L'idea erotica è lo specchio peggiore. Ciò che in esso si rivela su se stessi, fa rabbrividire."
(Louis Aragon)

Forse il realismo non tratta delle cose come sono
bensì di come desiderano essere.
Vediamo: Anna.
Nonostante fosse nata col nome di Marcela nei sobborghi poveri di Curitiba
(una delle quattro provincie gaùchas del sud del Brasile),
crebbe in una agiata famiglia portoghese a Lisbona dove la chiamavano
Marininha e, già adolescente, decidendo di vivere senza più tutele,
adottò a Milano il suo contundente Anna, breve dominio di due categoriche sillabe,
 come fa sempre la tenerezza quando può battezzarsi da sé.
Questa panoramica biografica tanto generica e priva di limiti,
ammette uno zoom approssimativo che ci conduce a irrilevanti ritagli vivi e dettagli morti:
ore, giorni, mesi. O se preferite: amori e odii, rancori e oblii, lacci e abbandoni
quando non addirittura cadute precipitose o alti cieli e ville di lusso o pensioni economiche.
Eppure, in una conversazione intima tra amici,
di quelle in cui fantastichiamo di essere ben ancorati,
 riparati in baie serene e con il mare agitato della vita quotidiana lontano dal tavolo su cui beviamo,
Anna scelse questo brevissimo fatto quando le chiesi di sceglierne uno che la ritraesse:
 "Una sera di pioggia imprevista di fine estate, camminavo sola, in scarpe di corda,
con un lungo vestito di seta naturale che mi arrivava fino alle caviglie
e stava incollato al corpo per il tiepido acquazzone.
Non andavo da nessuna parte.
Mestruavo, abbondantemente. A mio modo,
anche io scaricavo un peso liquido e inaspettato.
Sono stata un prodigio in questo. Cominciai a nove anni e finii a 32. Io non mento mai.
 E mi rifugiai, con un certo fine tremolìo, in un portone di Corso Sempione.
 Lì si riparava un uomo, uno sconosciuto. Si avvicina.
E, senza dirmi nulla, mi poggia con leggerezza una grande mano aperta,
rilassata, compatta, sulla spalla. Una mano umana più che fraterna.
Mi spostai, venni subito, quel solo contatto mi bastò.
Già era fatto, già era compiuto.
 L'uomo, facendo una piccola pressione per niente minacciosa,
mi sussurrò: Andiamo a letto? Gli risposi: Già ci siamo stati!
 E, mentre lui elaborava la risposta
 e piegò la testa per accendere una sigaretta, sparii..."

INSTANTÁNEA

"La idea erótica es el peor espejo. Lo que se revela en él sobre uno mismo, estremece."
(Louis Aragòn)

Tal vez el realismo no trate de las cosas como son sino de cómo ellas desearían ser.
Veamos: Anna.
Si bien nació con el nombre de Marcela en los suburbios pobres de Curitiba
(una de las cuatro provincias gaúchas del sur del Brasil),
se crió con una acomodada familia portuguesa en Lisboa donde le llamaban Marininha
y, ya adolescente, al decidir vivir sin más tutelas, adoptó en Milán su contundente Anna,
designio breve de dos categóricas sílabas, como hace siempre que puede bautizarse a sí misma la ternura.
Esta panorámica biográfica tan sin límites y genérica,
 admite un zoom aproximativo que nos lleva a irrelevantes trocitos vivos y detalles muertos:
horas, días, meses.
O si lo prefieren: amores y odios, rencores y olvidos, lazos y abandonos
 cuando no precipitadas caídas o altos cielos y mansiones de lujo o pensiones baratas.
Sin embargo, en una charla entrañable entre amigos,
de esas donde fantaseamos estar bien anclados,
resguardados en bahías serenas y el mar agitado de la vida diaria lejos de la mesa donde bebíamos,
 Anna eligió este suceso velocísimo al pedirle que escogiera uno que la retratara:
"Una tarde de lluvia imprevista de finales del verano, caminaba sola, en alpargatas,
 con un vestido de seda natural largo que me llegaba hasta los tobillos
y pegado al cuerpo por el chubasco tibio.
No iba a ningún lado. Menstruaba, abundantemente.
A mi manera, también yo descargaba un peso liquido y sorpresivo.
He sido un monstruo en eso.
Comencé a los nueve añitos y se me retiró a los 32.
Yo no miento nunca.
Y me guarecí, con cierto temblor fino, en un portal del Corso Sempione.
Allí se cobijaba un hombre, un desconocido.
Se aproxima.
 Y, sin decirme nada, me apoya con suavidad una gran mano abierta, relajada, compacta, en el hombro.
Una mano humana más que fraternal.
Me corrí, acabé allí mismo, aquel solo contacto me bastó.
 Ya estaba hecho, ya se había cumplido.
El hombre, haciendo un poco de presión nada amenazante, me susurró:
 Vamos a la cama?
Le contesté: Ya fuimos!
Y, mientras él procesaba la respuesta
y agachó su cabeza para encender un cigarrillo, desaparecí..."



Possibile ritratto di Anna
Posible retrato de Anna
PAROLE PERICOLOSE

"Non sarebbe insensato affermare che il compimento di una semplice azione
dietro istruzione verbale può essere considerato
come il centro del comportamento volontario regolato dal linguaggio."

A.R.Luria

Pacifico incontrò quel frammento e decise di inviarlo al suo amico
(scritto a macchina e incollato sopra una fotografia di un tramonto sul fiume Paranà,
che lui stesso aveva fatto) al Reggimento di Pontoneros del Chaco,
dove Ronaid adempiva il servizio militare obbligatorio.
La lettera non subì la censura e arrivò nelle mani di Ronaid
tal quale la concepì Pacifico: schietta, lirica, complice.
La frase e la foto colpirono Ronaid che memorizzò le parole
e si ripromise di conservare la immagine del Padre Fiume -
che deviava rosso con il suo ampio petto fluviale verso i delta- fino alla fine della sua vita.
Poi ruppe busta e contenuto e buttò i pezzi in una fossa:
non finisse che arrivando alle loro mani, in una delle tante ispezioni impreviste,
delirarono stranezze fra lui e il suo amico.
Le cose del paese erano marcite velocemente.
La realtà si radicalizzò e la radicalizzazione si fece realtà.
La storia quotidiana succhiava, assorbiva, esigeva. O vomitava di schifo, di impotenza, di rabbia.
Fu per questo che Ronaid riparò la frase
e, in una cattiva trovata all'ora del rancio,
la sussurrò nell'orecchio del suo compagno Beto Pascutti.
Però il delatore di guardia lo vide e fece comparire Ronaid
davanti al sottufficiale, perché ripetesse quanto detto.
Rimproverato severamente, pronunciò le parole.
Il capoccia della truppa le annotò su un foglio e le portò all'ufficiale
come se fosse un telegramma.
Il tenente decise che quel messaggio doveva arrivare al colonnello,
caso mai fosse chiave o codice sovversivo.
E quello non sarebbe rimasto con la patata bollente tra le mani.
Senza esitare si presentò al generale, che sì aveva delle
responsabilità di fronte alla cupola della lotta contro i nemici della patria.
E per quanto rischiasse di sembrare un maestrino,
borbottando, lesse e rilesse.
Finalmente, sentenziò: Tranquilli!
Queste stupidaggini non rompono a nessuno!
La frase era un verso di Manuel Rivas:
"Le frontiere vere sono quelle che mantengono i poveri lontani dalla torta."

PALABRAS PELIGROSAS

"No sería disparatado establecer que el cumplimiento
 de una simple acción bajo instrucción verbal puede
considerarse como el centro del comportamiento voluntario
regulado por el lenguaje."

A. R. LURIA

Pacífico dió con aquel fragmento y resolvió enviárselo a su amigo
(escrito a máquina y pegado sobre una fotografía de un ocaso en el río Paraná que él mismo tomó)
 al Regimiento de Pontoneros del Chaco,
donde Ronald cumplía con su servicio militar obligatorio.

La carta no sufrió censura y llegó a manos de Ronald
tal cual la concibió Pacífico: escueta, lírica, cómplice.

Frase y foto impactaron en Ronald
quien memorizó las palabras y se juró retener la imagen del Padre Río
 - derivando rojo con su ancho pecho fluvial hacia los deltas -,
 hasta el fin de su vida.
 
Luego rompió sobre y contenido y tiró sus trozos en una zanja:
no fueran a dar con ella, en una de las tantas requisas imprevistas,
 y deliraran rarezas entre el y su amigo.

Las cosas del país se habían podrido velozmente.
La realidad se radicalizó y la radicalización se hizo realidad.
La historia diaria chupaba, absorbía, demandaba.
 O vomitaba de asco, de impotencia, de rabia.

Fue por eso que Ronald resguardó la frase y,
en una mala ocurrencia a la hora del rancho,
se la musitó en la oreja a su compañero Beto Pascutti.
Pero el soplón de guardia, le vio e hizo comparecer a Ronald
ante el suboficial, para que repitiese lo dicho.
 Reconvenido severamente, pronunció las palabras.

El mandamás de la tropa anotó aquello en un papel
y se lo llevó al oficial como si fuera un telegrama.
 El teniente decidió que aquel mensaje debía llegar al coronel,
 no fuera a ser clave o código subversivo.
Y éste no iba a quedarse con aquella papa caliente entre las manos.
Sin hesitar se apersonó al general,
quien sí tenía responsabilidades ante la cúpula de la lucha
contra los enemigos de la patria.

Y aunque todo esto parezca sarmientino,
mascullando, leyó y releyó.
Finalmente, sentenció:
Tranquilos!
Estas tonterías no joden a nadie!
La frase era un verso de Manuel Rivas:
" Las fronteras de verdad
son aquellas que mantienen
 a los pobres alejados del pastel."
 



Ritratto di Ronald
Retrato de Ronaid

COME ATTRAVERSO UN TUBO

"Soffia su tutta la terra lo stesso vento che si portò via la tua casa."
(Leon Felipe)

Mai immaginò Rogelio che la marca di quella bicicletta
che sua madre gli aveva regalato al termine della scuola primaria
fosse il nome di uno straordinario routier italiano.
Botecchia, per lui, non era un omaggio a Ottavio Botecchia,
vincitore del tour de France due volte consecutive e morto misteriosamente a Gemona nel 1927.
Quella macchina era splendida, di media corsa, verde scuro con vivaci righe gialle,
pignone con tre cambi e manubrio orizzontale semicaduto.
Commosso, grato, baciò la sua amata vecchia.
I suoi cugini Titi, Babi e Negrito Coconier avevano delle Legnano azzurre e nichelate,
veramente da corsa, però erano più grandi di lui, lavoravano nelle segheria e bisognava tener duro.
Le notti d'estate, il quartetto pedalava decontratto da Virreyes fino all'ippodromo di san Isidro:
otto chilometri. Già in quei circostanti viali alberati, si lanciavano in corsa.
I suoi cugini erano più veloci.
Anche nella vita conservarono questo stacco e si sposarono, ebbero figli e morirono prima.
Quando concluse le scuole superiori, sua madre gli comprò
 -non senza un doppio fine-
una Lambretta grigio perla: per festeggiarlo e per visitare i chioschi
 che lei riforniva di Lucky Strike di contrabbando e di biglietti della lotteria.
Studiando medicina, cambiò la motoretta color nuvola sciupata
per una Ducati quasi d'oro.
Portarla per strada era come portare a spasso una ragazza molto bionda e colossale,
 bramata da tutto il quartiere.
L'aria, incollandoglisi agli occhi, senza pianto gli faceva cadere le lacrime.
Una volta medico, si propose un'attitudine burocratica:
trovare una ragazza a posto e cambiare modello di auto ogni due estati.
Perché avere più pretese?
Al mio ritorno, incontrai Rogelio vent'anni dopo.
 Io me n'ero andato e lui era rimasto. O meglio: io fui mandato via e lui fu lasciato.
 Tracagnotto, canuto ma terso, conservava le mani fini di chi non faticò nella vita.
 Udii una sinuosa delusione in quello che mi raccontava:
"Mi alzo, mi rado, mi faccio la doccia.
Scendo in ascensore nella mia piazzola del garage dove mi tuffo nella Lancia.
 Volo fino al parcheggio sotterraneo dell'ospedale.
Nell'ascensore riservato al personale arrivo al sesto piano, dove lavoro.
Alla fine, scendo in caffetteria. Poi salgo in ascensore.
 All'ora di pranzo, scendo per le scale. Salgo per le sessioni cliniche.
La mia fidanzata mi ricorda sul cellulare che questa notte
abbiamo cena e riunione con dei colleghi in un hotel del centro.
La passerò a prendere.
Scendo al parcheggio, salgo in auto, apro con il comando automatico il portone del mio garage.
Salgo al mio piano con l'ascensore.
Mi faccio la doccia, mi profumo, mi vesto.
 Volo al luogo dell'appuntamento e lei si siede al mio fianco.
Mi fermo nel parking sotterraneo dell'hotel.
Dall'ascensore accediamo direttamente al salone della festa, più insipida che leccare un sasso.
Si mangia, si ride, si beve, si balla. Poi, marcia indietro.
Riavvolgimento esatto: scendere in ascensore, metterci in macchina,
 aprire il portone con l'automatico, parcheggiare.
 Fino a raggiungere il letto, sparpagliarci e dormire.
Tutto come attraverso un tubo, vedi?"


COMO POR UN TUBO

"Sopla en toda tierra el mismo viento que se llevó tu casa."
LEÓN FELIPE

Jamás imaginó Rogelio que la marca de aquella bicicleta
que su madre le regaló al terminar la primaria
fuera el nombre de un extraordinario routier italiano.
Botecchia, para él, no era un homenaje a Octavio Botecchia,
ganador del Tour de Francia dos veces consecutivas
y muerto misteriosamente en Gemona, en 1927.

Aquella máquina era espléndida, de media carrera,
verde oscuro con vivas rayas amarillas,
piñón de tres marchas y manubrio horizontal semicaído.
Conmovido, agradecido, besó a su querida vieja.

Sus primos Titi, Babi y Negrito Coconier,
tenían Legnanos azules y niqueladas,
de carreras de verdad,
pero eran mayores que él,
trabajaban en aserraderos
y había que aguantarse.

Las noches de verano,
el cuarteto pedaleaba descontraído desde Virreyes hasta el hipódromo de San Isidro:
ocho kilómetros. Ya en aquellas circundantes avenidas arboladas, echaban a correr.
Sus primos eran más veloces.
También en la vida conservaron esa delantera
y se casaron y tuvieron hijos y se murieron antes.

Al finalizar el secundario, su madre le compró
- no sin doble intención -,
una Siambretta gris perla: para agasajarlo
y para recorrer los kioscos que ella abastecía de Lucky Strike de contrabando
y billetes de lotería.

Estudiando medicina, cambió la motoneta color nube
gastada por una Ducatti casi de oro.
Sacarla a la calle era como pasear una mina muy rubia y colosal,
codiciada por todo el barrio.
El aire al pegarle en los ojos, sin llorar le hacía caer lágrimas.

Ya médico, se propuso una actitud burocrática:
encontrar una buena chica y cambiar de modelo de coche cada dos veranos.
Para qué más pretensiones?
.
A mi regreso, encontré a Rogelio veinte años después.
Yo me fui y él se quedó.
Mejor dicho: a mi me fueron y a él se lo quedaron.
Rechoncho, canoso pero terso,
conservaba las finas manos de quién no yugó en su vida.
Oí una sinuosa decepción en lo que me contaba:

"Me levanto, me afeito, me ducho.
Bajo en el ascensor hasta mi plaza de garaje
donde me zambullo en el Lancia.
Vuelo hasta el estacionamiento subterráneo del hospital.
En el ascensor reservado para el personal l
lego hasta la sexta planta donde trabajo.
Al terminar, desciendo hasta la cafetería.
Luego subo en ascensor.
A la hora del almuerzo, bajo por escaleras
. Subo para las sesiones clínicas.
Mi novia me recuerda por el móvil que esa noche tenemos cena
y reunión con colegas en un hotel céntrico. La pasaré a buscar.
Bajo al estacionamiento, subo al coche, abro con el automático el portón de mi garaje.
Subo en ascensor a mi piso.
Me ducho, me perfumo, me visto.
Vuelo hasta el lugar de la cita y ella se sienta a mi lado.
Estaciono en el parking del subsuelo del hotel.
Desde el ascensor directamente accedemos al salón de la fiesta,
más desabrida que chupar una piedra. Se come, se ríe, se bebe,
se baila. Luego, marcha atrás.
Rebobinado estricto: bajar en ascensor,
meternos en el coche, abrir el portón con el automático, aparcar.
Hasta llegar a la cama, desparramarnos y dormir.
Todo como por un tubo, viste?"


Ritratto di Rogelio quando possedeva la moto
Retrato de Rogelio cuando tenía la moto

IL CAPOLINEA

"la poesia, Juan, è la giovinezza che dura tutta la vita." 
(Luis Luchi)

Come poteva sospettare Nelly che Alberto ci sarebbe rimasto letteralmente secco
mentre facevano l'amore?
Credeva che le brevi convulsioni, i lamenti profondi simili a un rantolo,
 corrispondessero, ancora una volta, a quella 'grande e bella soddisfazione'
come lui era solito definirla.
E' certo che Alberto, con tutto il suo peso di omone alto due metri,
schiacciava il corpo magrolino di Nelly.
Lei soffocava. Gli parlò piano, nel dubbio che dormisse.
Già niente e nessuno rispondeva in lui.
Le braccia grosse, pelose e inerti, affondavano al di sopra delle loro teste nei cuscini rigirati.
Si incontravano furtivamente ogni tanto.
Alberto, sposato e con figli, viveva nella tetra città industriale di Rosario.
Se scendeva per affari a Buenos Aires -duecento chilometri-, telefonava a Madame Raquel,
la donna che dirigeva il cabaret in cui Nelly serviva da bere.
La pettegola preparava i dettagli degli appuntamenti.
Lo consideravano un signore molto attento.
 Era ladro e truffatore professionale.
 Gli piaceva circondare le sue amiche di gentili attenzioni:
le portava a cena, a passeggiare per la fiera della Costanera
e indicava loro, romantico e poetico, il fiume senza sponde
 e, se il cielo era sgombro, contava le stelle, di cui diceva scherzando
che il numero era senza conto.
La coppia fortuita scendeva poi in un alberghetto
vicino alla recentemente battezzata stazione Presidente Peron (ex Retiro),
dalla quale tutta la notte si sentivano arrivare e partire i treni di passeggeri o merci.
L'uomo non sapeva perché questo rumore di andate e venute
lo eccitava tanto e gli rendeva più facile fare focosamente l'amore.
La prima notte che toccò a Nelly di essere la ragazza di turno,
sentendo il commento del cliente sulla necessità di quel rumore afrodisiaco,
 si avventurò a dirgli che forse erano i lunghi silenzi
delle varie permanenze in carcere,
la causa di questa "fascinazione per tutto quello che arriva e tutto quello che parte".
Così, testualmente.
Alberto si disse: "tra le puttane non ci sono misteri".
E le chiese con discrezione di ripetergli la frase.
Nelly -deformazione finto francese del suo Nélida natale-,
come se recitasse un verso, gliela ripetè.
Questo e altri saggi lirici della magrolina lo fecero decidere ad adottarla
come amante esclusiva e "piantarla con la stupidaggine di cambiare tanto di sella".
Bene o male, era un tipo ragionevole e cauto,
 virtù proprie alla sua specialità delittuosa.
Aspirava a una certa stabilità e necessità di fiducia.
Però queste non erano mai accompagnate dalla tenerezza.
La tenerezza, come la sicurezza, bisognava comprarla.
Quelle che arrivavano gratis, quando gli toccava agire, erano la inquietudine e il sospetto.
E quella stessa notte della frasetta -diciamola tutta!-
non appena Alberto si addormentò come un sasso cullato dai treni,
lei tirò fuori gli uncini e gli sottrasse dal portafoglio alcuni dollari fiammanti
 mescolati a pesos nostrani, che non toccò nemmeno:
in casa la aspettavano due marmocchi a cui in un modo o nell'altro bisognava garantire il mangime.
 I tipi magnanimi come quel gigante non hanno l'abitudine di contare i soldi
come ragionieri!
L'idillio si ruppe perché lui finì in galera:
un anno sulla groppa. All'uscita dalla prigione,
Alberto tenne fede alla parola con sua moglie, baciò i bambini
e, non appena possibile, viaggiò alla capitale per vedere
la sua Nelly. Lei lo aspettò come un'amica,
come se l'anno non fosse passato, come se il dialogo sospeso
riprendesse dall'ultima parola detta: la folle filosofia del tango,
la guerra, la fame, la falsa pace dappertutto, la disuguaglianza
 e "quest'uomo che sembra stia davvero per cambiare le cose".
Per varie notti percorsero il circuito di note gratificazioni: mangiare, bere, il fiume,
la Croce del Sud, una certa milonga, fumare
abbracciati, qualche alberghetto vicino alla stazione.
Come poteva supporre Nelly che Alberto avrebbe scelto di morire in mezzo all'amore?
Con terrore e pena scivolò via da sotto il grande corpo.
Lo accarezzò a lungo finché non si fu raffreddato.
Pareva un annegato che galleggiasse a pancia in giù sopra un pezzo rigido
di un fiume quasi grigio. Si vestì piangendo.
Gli tolse l'orologio da polso d'oro: insomma!
 quali ore avrebbe dovuto guardare adesso?
E lo alleggerì di alcuni scivolosi dollari, però
non toccò il fascio di banconote nazionali.
Come ricordo personale si prese le sue enormi mutande azzurre.
 Le piegò, le mise nella borsa e chiuse la porta dietro di sé per sempre,
senza dire nulla, senza chiamare ne chiedere aiuto a nessuno.
Come se quello che era passato tra loro fosse così: passato.

LA ESTACIÓN TERMINAL

"La poesía, Juan, es la juventud que dura toda la vida." 
LUIS LUCHI

Cómo iba a sospechar Nelly que Alberto se quedaría literalmente seco
 mientras hacían el amor?
 Creyó que las cortas convulsiones,
 los quejidos hondos cercanos a un estertor,
 respondían, una vez más, a aquella
"grande y hermosa satisfacción" como él acostumbraba definirla.

Lo cierto es que Alberto, con todo su peso de hombrón de una altura de dos metros,
aplastaba el delgadito cuerpo de Nelly. Ella se sofocaba.
Le habló suave, por si acaso dormía. Ya nada ni nadie respondía en él.
Los brazos gruesos, peludos e inertes,
 hundían por sobre sus cabezas las revueltas almohadas.

Se encontraban furtivamente cada tanto. Alberto, casado y con hijos,
 vivía en la tétrica ciudad industrial de Rosario.
Si bajaba por negocios a Buenos Aires - doscientos kilómetros -,
telefoneaba a Madám Raquel, mujer que regenteaba el cabaret donde Nelly hacía copas.
La alcagüeta preparaba los detalles de las citas.
 Lo consideraban un caballero muy atento
. Era ladrón y estafador profesional.
 Le gustaba atender gentilmente a sus amigas:
 las llevaba a cenar,
 a dar un paseo por la kermesse de la Costanera y les señalaba,
romántico y poético, el río sin orillas y,
si el cielo estaba despejado, contaba las estrellas,
de las que decía en chiste que su número era sin cuenta.

La pareja fortuita recalaba luego en un hotelito cercano a la recién bautizada estación
Presidente Perón (ex-Retiro), desde donde toda la noche se oía el llegar
 y partir de los trenes de pasajeros o de mercancías.
El hombre no sabía porqué ese ruido de idas
y venidas lo excitaba tanto
 y le facilitaba hacer fogosamente el amor.

La primera noche que le tocó a Nelly ser la chica de turno,
al oír el comentario del cliente sobre la necesidad de aquel ruido afrodisíaco,
se aventuró a decirle que tal vez fueran los largos silencios de las varias estadías en la cárcel,
 la causa de esa "fascinación por todo lo que llega y todo lo que parte".
 Así, textualmente.
Alberto se dijo: "entre las putas no hay misterios".
Y le pidió por lo bajito que le repitiera la frase. Nelly
 - deformación franchuta de su Nélida natal -,
 como si recitara un verso, se la repitió.
Este y otro toques líricos de la flaquita, lo decidió a adoptarla
como amante exclusiva
y "dejarse de macanas de cambiar tanto de monta".

Mal o bien, era un tipo razonable y cauto,
virtudes propias de su especialidad delictiva.
Aspiraba a cierta estabilidad y necesidad de confianza.
Pero nunca venían acompañadas de ternura.
La ternura, como la seguridad, había que comprarlas.
Las que llegaban gratis,
cuando le tocaba actuar, eran la inquietud y el recelo.

Y aquella misma noche de la frasecita - todo hay que decirlo ! -,
ni bien Alberto se durmió como un tronco acunado por los trenes,
ella le metió los garfios y le refaló de la billetera unos dólares flamantes
entremezclados con pesos criollos a los que ni tocó:
en casa la esperaban dos pibitos
y había que asegurarles el marroco de la forma que fuera.
Tipos magnánimos como aquel grandulón
no suelen contar la guita como si fueran tenedores de libros!

El idilio se cortó porque él cayó en cana: un año por el lomo.
Al salir de la cárcel, Alberto cumplió con su esposa,
 besó a los hijos y, ni bien pudo, viajó a la Capital para ver a su Nelly.
Ella le esperó como una amiga, como si el año no hubiera transcurrido,
 como si la charla suspendida siguiera adelante desde la última palabra:
la loca filosofía del tango, la guerra, el hambre,
 la falsa paz por todos lados, la desigualdad
y "este hombre que parece que va a cambiar de verdad las cosas".
 Varias noches trajinaron el circuito de gratificaciones consabidas:
comer, beber, el río, la Cruz del Sur, cierta milonga, fumar abrazados,
algún hotelito cerca de la estación.
Cómo iba Nelly a suponer
que Alberto eligiera morir en medio del amor?
Con terror y pena se deslizó por debajo del corpachón.
 Estuvo acariciándole a lo largo hasta que se enfrió.
Parecía un ahogado boca abajo que flotara sobre un cacho rígido de un río casi gris.
Se vistió llorando. Le sacó el reloj pulsera de oro:
 total! qué horas iba a consultar ahora?
 Y lo alivió de unos resbaladizos dólares,
 pero no tocó el fajo de billetes nacionales.
Como recuerdo personal se llevó su enorme calzoncillo azul.
Lo plegó, lo metió en su bolso y cerró la puerta tras de sí para siempre,
sin decir nada,
 sin llamar ni pedir auxilio a nadie.
Como si lo que hubiera pasado
entre ellos
fuera eso:
pasado.
 


Ritratto di Nélida nel 1949
Retrato de Nélida en 1949

Nota dell'autore

Ritengo necessario formulare alcune considerazioni sul libro.
 Anche se esistono cinque testi e cinque ritratti non necessariamente in relazione fra loro,
desidero mettere in rilievo l'autonomia dei due discorsi,
 opera di due artisti che lavorano su fronti distinti ma non estranei,
 in questa professione che potremmo definire arte.
Presentai i ritratti a Micharvegas in occasione di un incontro a Madrid, nel novembre 1998.
L'idea era chiara; il poeta avrebbe scritto sulle possibili vite dei personaggi
che, per me, avevano un'altra storia, un altro significato, un'altra vita.
Cito un frammento della lettera che mi scrisse nel gennaio '99 a proposito del suo lavoro:
 "...Io non so se questi sono i destini (diciamo: uno di essi...) che speravi per i tuoi 'personaggi'.
Neppure sono partito da lì per scriverli, bensì da appunti, associazioni di ricordi, storie di vita,
dettagli della scrittura stessa mentre li andavo facendo.
E nonostante, a guardarli, sia evidente che i tuoi sono sostenuti da un medesimo stile,
i miei testi -che non dovevano essere 'illustrativi'- percorrevano altri tempi,
città, distanze, animi, per ottenere la loro unità."
Il libro, dunque, sarà un incontro con dieci personaggi e con due artisti,
 che hanno avuto un dialogo a Madrid, nel Café Gijon,
semplicemente su cinque ritratti.

Julio Paz

Traduzione di Roberta Secchi e Raul laiza

I cinque ritratti ad acquaforte e ad acquatinta di Julio Paz
sono stati stampati dall'artista con torchi di Giorgio Upiglio.
La edizione consta di cinquanta esemplari numerati da 1 a 50
più cinque prove d'artista numerate da I a V, su carta Hahnemuhie.
I cinque testi di Martin Micharvegas sono stati composti
con caratteri Garamond nella tipografia di Rodolfo Campi, su carta Tintoretto.
Finito di stampare a Milano nel mese di gennaio dell'anno 2000.
Edizione dell'autore

Nota del autor

Creo necesario formular algunas consideraciones sobre el libro.
Si bien existen cinco relatos y cinco retratos
no necesariamente relacionados entre sí,
quiero destacar que son dos discursos autónomos,
de dos arüstas que trabajan en frentes distintos
 pero no ajenos,
en esta profesión que podríamos definir arte.

Presenté los retratos a Micharvegas en un encuentro en Madrid,
en el mes de noviembre de 1998.
 La idea era clara;
el poeta escribiría sobre las posibles vidas de los personajes
 que, para mí, tenían otra historia,
otro significado,
otra vida.

Cito un fragmento de la carta
 que me escribiera en enero del '99
 a propósito de su trabajo
"... Yo no sé si estos son los destinos (bueno: uno de ellos...)
que esperabas para tus personajes'.
Tampoco arranqué de allí para escribirlos sino de notas,
 asociaciones de recuerdos, historias de vida, detalles de la propia escritura
 mientras los iba haciendo.
Y aunque, al mirarlos, es evidente que los tuyos están sostenidos
por un mismo estilo, mis textos
- que no tenían por qué ser 'ilustrativos' -
recorrieron otros tiempos, ciudades, distancias,
 ánimos, para obtener su unidad."

El libro, entonces, será un encuentro con diez personajes
 y con dos arüstas, que han tenido un diálogo en Madrid,
 en el Café Gijón,
simplemente sobre cinco retratos.

JULIO PAZ



POSIBLE VINCENT Y OTROS POSIBLES
Questa nuova mostra personale che la Galleria del Barcon dedica a Julio Paz
è la sintesi della sua visione dell'arte pittorica intesa come saldatura tra l'esercizio della libertà
attraverso l'immaginazione e la rappresentazione della realtà
come momento di concretezza della vita e degli individui.
 Nella serie dei ritratti di Vincent Van Gogh
Julio Paz immagina il genio dell'impressionismo nella fase più drammatica della sua vita,
quando con gesto estremo si taglia l'orecchio.
Questi ritratti sono dei "possibili Vincent"
come possibili sono i ritratti di altri grandi personaggi
colti nella magia immaginata della loro unicità esistenziale.
Per meglio interpretare il messaggio di Julio Paz
sono di seguito riportati tre scritti dell'artista:
il primo, del 1983, dedicato alla serie di Vincent Van Gogh
 e altri due, del 1978 e del 1982,
dedicati ai ritratti possibili di alcuni grandi esponenti dell'arte
e del pensiero occidentale del secolo scorso.
Galleria del Barcon


POSIBLE VINCENT
Diceva Antonin Artaud nel 1947 riferendosi a Van Gogh:
 "Lui non è morto in un vero stato di delirio,
 ma perché il suo corpo è stato il campo di un problema intorno al quale,
dalle origini,
si dibatte lo spirito iniquo di questa umanità,
quello del predominio della carne sullo spirito,
 o del corpo sulla carne, o dello spirito sull'uno e sull'altra.
E dov'è in questo delirio il porto dell'Io umano?
Van Gogh cercò il suo per tutta la vita; con una energia e una determinazione strane.
 E non si e suicidato in un momento di follia, nell'angoscia di non giungere,
 ma al contrario era giunto e aveva scoperto ciò che era e chi era,
quando la coscienza generale della società,
 per punirlo di essersi strappato a lei, lo suicidò",
lo vorrei aggiungere a questa lucida visione di Artaud
la sensazione che ho dello stato d'animo
di Vincent nel periodo in cui si taglia l'orecchio.
Tutta la serie avrà, dovrà avere, un carattere ossessivo e drammatico,
 che manifesti esattamente ciò che sento.
Non perché questo non sia riflesso dalle lettere o dai ritratti
che lo stesso Vincent realizzò,
bensì perché io vorrei dimostrare la validità del suo discorso espressionista,
la attualità della sua incomunicabilità:
 l'incomunicabilità di tutti noi che stiamo dicendo, dipingendo, incidendo
 o filmando una realtà tesa al massimo,
senza concessioni, opprimente, qualunquista, reazionaria, calcolatrice
 e, a volte, bella e tenera.
Pero è difficile lottare, contro la mediocrità,
 il qualunquismo, la repressione
e, a volte, l'unica gratificazione che abbiamo,
noi che abbiamo salvato la vita,
 è soltanto il sapere che in questa lotta non siamo soli, né siamo gli unici.
Milano, 7 gennaio 1983

OTROS POSIBLES
"Tutto è autobiografico e tutto è un ritratto"
Lucian Freud

Ora che vedo i miei disegni - esseri con cui ho vissuto tutti questi mesi - incorniciati, seri,
solenni, mi chiedo che cosa è stato dell'ironia, della complicità che ci univa, dell'aggressività
quotidiana con cui ci amavamo.
Ora che sembrano terminati, pronti per la vendita come
un frigorifero o un televisore a colori, lontani dalla polvere, dal caos, dal vino con gli amici,
dalle macchie e dal disordine da cui sono nati,
mi sconcertano per questo abisso, questa
separazione, questa rottura.
Ricordo che stavo facendo un ritratto di Onetti e pensavo che
Onetti aveva ucciso Larsen e che io ero andato in Uruguay a chiedere a Onetti
perché lo aveva ucciso e ricordo quello che Onetti mi aveva detto
 e quello che mi aveva raccontato di Gardel e Faulkner e Joyce
e nuovamente di Larsen per tutta la notte,
e mentre pensavo e disegnavo mi venne fuori un Larsen
che assomigliava di più a un mio ritratto,
però un po' più vecchio e con pelo di gatto.
E' questo che mi capita con i disegni.
 Anche se abbiamo iniziato insieme un cammino,
 essi si separano da me e prendono altre strade con gran sicurezza
, mentre io li seguo a tentoni, timoroso di cadere o di andare a sbattere,
perché questo cammino non sempre è luminoso, né conosciuto, né accogliente.
Cerco di ascoltare ciò che mi dicono, di riflettere sui loro consigli,
di accompagnarli, ma qualche volta sono così stanco
che quando mi dicono una cosa ne capisco un'altra
e alla fine io e loro ci sentiamo defraudati
e dobbiamo cominciare da capo. Questo però capita raramente.
Di solito ci capiamo e siamo l'uno per l'altro come amanti.
D'altronde, poiché essi sanno che tra l'esattezza e la verità
è la verità che deve prevalere,
mi obbligano a disegnare come un indemoniato senza controllo,
sdoppiando occhi e narici, minimizzando orecchie,
allargando fronti come in un identikit fatto da un folle.
Soltanto allora ogni figura denuncia il suo passato, la sua parte di dolore e di orgoglio,
la sua miseria o il suo valore, la sua indifferenza o la sua pietà. 

Milano, settembre 1978.

***
Un giorno mi sentii come un fondista
che a metà della corsa si ferma per allacciarsi le scarpe
 e i suoi occhi scoprono, una volta e per sempre,
la presenza travolgente del paesaggio.
E scopre inoltre che il vero senso della corsa
 non consiste nel raggiungere la meta ma nel fare tutto il percorso.
 Piccola scoperta, ma preziosa.
Il paesaggio che da allora cominciai a percepire era popolato di personaggi,
di situazioni, di suoni e di frasi.
C'era anche del rancore nel paesaggio.
C'era sofferenza nel paesaggio.
C'era fede, illusione, disincanto, ma anche qualcosa di più; popolandolo,
 coprendolo come solo il suono di Coltrane potrebbe fare,
sorvolava quel paesaggio la profonda, la assoluta certezza della sconfìtta.
E' così che, in capo ad alcuni anni di ossessivo,
ostinato e solitario lavoro,
 mi trovai a raccontare le storie e i destini della gente che mi circondava,
che apparteneva o era appartenuta a quella fetta di realtà
della quale tutti eravamo stati partecipi,
comunque sia,
 come attori,
 o come complici silenziosi. 

Madrid, 9 febbraio 1982

Mostra di Julio Paz a Palazzo Reale per la Settimana dell’Argentina
Scritto Giovedì 15 Maggio 2008 da Lara Morandotti



Da martedì scorso, fino a domenica 18 maggio a Palazzo Reale è in mostra un’antologica dedicata all’artista Julio Paz, 
uno dei massimi esponenti dell’arte argentina contemporanea che ha deciso di vivere a Milano. 
Si tratta di un evento di grande importanza che si svolge in occasione della Settimana Argentina
 e contribuisce a mostrare l’amicizia che lega il Paese sudamericano alla nostra Italia.
Le parole del Sindaco Letizia Moratti hanno sono di orgoglio e vanto: 
“Julio Paz è un artista di fama internazionale che espone in tutto il mondo e che ha scelto Milano per vivere”.
Nelle opere di Julio Paz si vede la luce e se ne carpiscono i colori, 
spicca l’anima dell’artista che nei suoi quadri dai toni forti e di grande intensità mostra la sua Argentina più vera.
In vista dell’Expo 2015, il legame tra il nostro Paese e il mondo latino-americano andrà a rafforzarsi sempre di più;
 in effetti, il senso più profondo dell’Esposizione Universale
 è quello di solidificare i legami con tutti i Paesi.
La mostra di Julio Paz è soltanto l’inizio di un percorso 
che vedrà unita Italia e Sudamerica per progetti scientifici, culturali e formativi, pei i prossimi sette anni.
Pubblicato Giovedì 15 Maggio 2008 alle 14:10 nella sezione Centro Storico, Cultura, Musei

Casa delle culture del mondo

Lo spazio espositivo della Casa delle culture del mondo ospita dal
22 febbraio al 16 maggio 2009 la mostra "Ritratti di artisti-amori
di una vita" dell'artista argentino Julio Paz: venti ritratti inediti su
carta realizzati tra il 1972 ed oggi, una "galleria di uomini illustri"
che hanno influenzato il percorso artistico di Paz, non solo pittori,
ma anche poeti e scrittori, dai maestri dell'Impressionismo e Post-
impressionismo Degas e Van Gogh, agli artisti del Novecento
Frieda Kahlo e Pablo Picasso, ai ritratti "possibili" di James Joyce,
Bertolt Brecht ed Edgar Allan Poe
All'inaugurazione, sabato 21 febbraio 2009 alle ore 15, oltre
all'artista sarà presente Daniela Benelli, Assessore alla cultura, 
culture e integrazione della Provincia di Milano. Verrà proiettato il video, a cura del regista
Francesco Cusanno, realizzato in occasione della mostra "La mano que..." di Julio Paz, che si è
tenuta presso Palazzo Reale di Milano dal 14 al 18 maggio 2008.

Il realismo magico di Julio Paz

Il realismo magico di Julio Paz Ironia, fantasia, gioia di vivere. Le oltre 40 opere del pittore Julio Paz (Buenos Aires, 1939) offrono un sapore diverso dal solito piatto concettuale a base di significati e intenzioni nascoste. L' artista argentino, che dal ' 76 vive a Milano, non ha paura della pittura, quella «di tocco», stesa con ampie e visibili pennellate di colore, e nemmeno dell' ovvietà dei soggetti: donne profumate, fiori lussureggianti, mare, paesaggi, generali cattivi ed eroi buoni. Grandi tele che si divorano come i romanzi latinoamericani del realismo magico. I quadri sono «sueños y poesìa», come dice il titolo della mostra, con cameriere che servono pesci su un vassoio dietro un mare di girasoli; fari che illuminano una notte elettrica; ex voto di ringraziamento per il miracolo ricevuto di non coricarsi più da soli nel letto. Un mondo capovolto, eppure familiare dove persino la tragedia trova risvolti surreali e ironici. Anche le deliziose «scatole», collage d' oggetti dentro cassette di legno, seppure così simili al Nouveau réalisme di Spoerri o Arman, non ne condividono il lato concettuale. 
Francesca Bonazzoli

Pagina 59
(16 gennaio 2001) - Corriere della Sera

Tra i muralisti e Rauschenberg

Repubblica — 21 maggio 2008 pagina 22 sezione: MILANO
Palazzo Reale lun 14.30-19.30; ven-dom 9.30-19.30; gio 9.30-22.30. Fino al 2 giugno. Info: 02.875672. Nel 1976, in seguito al colpo di stato che in Argentina provocò migliaia di morti e desaparecidos, il pittore Julio Paz fu costretto a fuggire all' estero. Come avevano fatto tre anni prima gli Inti-Illimani, dopo il golpe di Pinochet in Cile, Paz fece rotta su Milano, dove tuttora vive e lavora. Nelle sale di Palazzo Reale è stata allestita una piccola ma significativa retrospettiva curata da Daniele Miradoli. Si possono vedere circa trenta tele di grande formato dalle quali emerge la sua violenta vena espressiva. Le composizioni, dominate da figure forti e colori accesi, d' acchito fanno pensare ai grandi muralisti messicani, ma in realtà contengono influenze ampie e articolate. Talvolta Paz inserisce oggetti che sovrappone alla tela e che fanno da contrappunto al tema rappresentato, citando alla sua maniera i combine paintings di Rauschenberg. Sono esposte anche otto incisioni, di qualità interessante, che accolgono i visitatori nel corridoio d' ingresso. La collocazione, però, le penalizza pesantemente, sebbene la grafica occupi un ruolo di primaria importanza nella sua produzione, come si evince dalle prime parole della biografia pubblicata in catalogo: "Julio Paz, pittore e incisore". - MICHELE TAVOLA

Sogno e poesia nei quadri e nelle ®costruzioni¯ di Julio Paz

Sogno e poesia nei quadri e nelle costruzioni di Julio Paz. S'intitola Sobre sueños y poes¡a la mostra di dipinti, acqueforti e costruzioni dell' argentino Julio Paz. Artista impegnato contro i regimi sudamericani e schierato dalla parte degli emarginati, Paz vive in Italia dal ' 76. I lavori attualmente esposti appartengono all' ultimo periodo (anni ' 90) e s' ispirano al tema del sogno. In essi si nota il ricorso alla contaminazione dei mezzi espressivi: oltre alla pittura, infatti, fin dai primi anni del suo lavoro Paz si è dedicato alla costruzione di oggetti realizzati con materiale di recupero, con lo scopo dichiarato di alterare l' ordine stabilito. VENTI CORRENTI, via C. Correnti 20, Milano, ore 15-19.30 da mart. a sab., tel. 02.86.45.053, ingresso libero, fino al 25 gennaio

Pagina 59
(21 dicembre 2000) - Corriere della Sera

L' erotismo di Julio Paz

Repubblica — 14 ottobre 2006 pagina 18 sezione: MILANO
Guardare ma non toccare! è il ritornello, un po' virtuoso e un po' eccitante, che Julio Paz fa dire alle signore, tutte sesso, protagoniste di alcune sue tempere monocrome, esposte in questi giorni alla Galleria del Barcon, sul Naviglio Grande. Pittore e incisore nato a Buenos Aires nel '39 e milanese d' adozione, Paz è abilissimo nel dosare qui dolcezza e ironia. Il tributo a Goya è evidente nella dialettica fra seduzione e humour al vetriolo; mentre l' amore per la Nuova oggettività tedesca viene fuori nel segno nero e spesso che graffia i corpi nudi delle sue dark lady e li rende ostili. «Se mira y no se toca» è il motto in spagnolo. Come a dire che l' eros è pericoloso ed è meglio starci alla larga. Ecco allora volti e mani di maschietti intimoriti che si avvicinano all' oggetto del proprio desiderio, ma non azzardano il contatto. Il mix fra l' erotismo sottile dei soggetti e la drammaticità del linguaggio sembra un omaggio alle donne tenere e fatali di Almodovar. «Julio Paz», fino a martedì, Galleria del Barcon, Alzaia Naviglio Grande 54. Orari: mart-sab 16-19.30. Info 02-89409992. (c. g.)
PITTURA / UNA MOSTRA RIPERCORRE GLI ULTIMI DIECI ANNI DI ATTIVITÀ DELL' ARTISTA ARGENTINO

I toni forti di Julio Paz

Con la tempera a uova, come nel Rinascimento Fuggito da Buenos Aires ai tempi del «golpe», vive e lavora a Milano dal 1976

V iolento e impietoso il pittore Julio Paz descrive i suoi personaggi con affettuosa crudeltà. Immersi in atmosfere fantastiche e visionarie, sottolineate dallo sguardo invariabilmente obliquo e dalle inquadrature frontali, i volti e le figure sono delineati con un segno energico e netto. Nato a Buenos Aires nel 1939, l' artista vive a Milano dal 1976, dopo aver lasciato il suo Paese a causa del colpo di stato. Trenta opere dell' autore, incisioni e dipinti realizzati negli ultimi dieci anni, sono in mostra alla Galleria Del Barcon. Sulle tele i personaggi e i ritratti di medie e grandi dimensioni sono eseguiti con la tecnica della tempera a uovo, ripresa dalla tradizione rinascimentale. Un procedimento complesso che dona particolare brillantezza ai colori, ma che impedisce di miscelarli tra loro, obbligando l' artista a stendere ogni tono separatamente. In questo modo le varie sfumature sono ottenute per accostamento di tratti brevi, come nel Divisionismo, in una frammentazione che rende la superficie vibrante, mentre le figure, sottolineate dagli spessi contorni scuri, si delineano nettamente, acquisendo maggiore forza. La composizione apparentemente semplificata richiama le immagini popolari della cultura latinoamericana e spoglia i dipinti da ogni indugio descrittivo, soffermandosi sull' essenzialità delle forme. Al segno deciso si accompagna la particolare scelta cromatica fatta di toni forti e dissonanti, che spesso dilagano sulle cornici dei dipinti in miriadi di segni e pennellate. Una tavolozza dominata dalla presenza costante, a volte unica, di un rosso caldo, sanguigno, come nella serie «Il pittore e la modella», nella quale i corpi nudi rivelano brutalmente le linee del costato. Lo stesso rosso che cola in rivoletti sottili, lasciando tracce indelebili sulle tele bianche e richiamando le esperienze crude di un certo espressionismo. L' interesse di Paz per le tecniche antiche si ritrova anche nelle incisioni, di grande formato, eseguite impiegando il procedimento dell' acquatinta allo zucchero che permette di ottenere sfumature morbide e segni simili a pennellate. Un effetto pittorico che rende questi lavori simili a dipinti in bianco e nero e annulla le spigolosità dei segni ottenuti mediante l' incisione. Proprio grazie a queste particolarità, l' artista ha ottenuto diversi riconoscimenti internazionali, tra i quali, nel 1999, il «Kochi Museum of Art Prize», alla «IV Triennale Internazionale dell' Incisione» di Kochi, in Giappone. 

Rosella Ghezzi JULIO PAZ, UN ALTRO VIAGGIO, Galleria del Barcon. Alzaia Naviglio Grande 54, tel. 02.89.40.99.92. Orari: tutti i giorni: 16-19; chiuso lunedì. Fino al 22 febbraio

Pagina 59
(11 febbraio 2004) - Corriere della Sera

Kafka, Picasso e Frida Kahlo I 'Ritratti possibili' di Julio Paz

Repubblica — 29 aprile 2002 pagina 4 sezione: MILANO
Ancora pochi giorni per la mostra di Julio Paz alla galleria Croft & C Compagnia di Arti e Mestieri. Pittore e incisore argentino, 63 anni, dal ' 76 Julio Paz vive e lavora a Milano dove è arrivato da esule, costretto ad abbandonare il suo paese per ragioni politiche dopo il colpo di Stato del 24 marzo. Arrivato in Italia, qui a Milano, negli anni Ottanta apre in Corso Como una stamperia con la moglie Clara Hermo, dove i due riprendono la loro attività di incisioni d' autore che già svolgevano in Argentina. Ed è proprio nel ritratto e nell' incisione che Julio Paz sviluppa il suo lavoro d' artista negli anni successivi, anche attraverso una serie di antologiche e mostre in giro per la Lombardia, l' Italia e l' Europa ottenendo tra l' altro una serie di importanti riconoscimenti. Qui in mostra c' è da seguire il lavoro di Paz attraverso una piccola galleria di ritratti realizzati con la tecnica dell' acquaforte, immagini di personaggi famosi di cui l' artista argentino coglie la forza e la profondità dello sguardo, l' espressione spesso sofferta del volto e dei lineamenti. Ecco così da vedere il bel volto di Antonin Artuad, il grande, eretico e visionario artista di teatro francese, oppure una stranissima Frida Kahlo, la pittrice messicana qui ritratta quasi con movenze cubiste che ne stravolgono la prospettiva, e ancora Candido Lopez, un bellissimo Franz Kafka, Pablo Picasso e Max Beckmann. Julio Paz, "Ritratti possibili", galleria Groft & C compagnia Arti e mestieri, via Sangallo 32, fino al 4 maggio, tel. 02.70001731

Murió en Milán el artista argentino Julio Paz


Julio Paz e Juan Gris nella casa-atelier in via Belgirate a Milano, 1994
foto Marco Pirovano

querid@s companier@s y amig@s:
tenemos un tristísimo pesar
al anunsiarles esta notisia:
nuestro amigo fraternal
y, entre otras tantas cosas,
colaborador de IPN,
Julio Paz,
pintor, dibujante, grabador, diseniador gráfico
de enorme talento y proverbial generosidad,
ha muerto en la madrugada del viernes 5 de febrero,
en el Hospital Sacco, de Milán,
a causa de una complicasión infecciosa
derivada de un trastorno pulmonar crónico.
Había nasido en Buenos Aires, en 1939.
En 1976, amenasado en su lugar de trabajo
( ejersía como profesor de Dibujo y Pintura
en la Escuela de Beyas Artes "Carlos Morel", de Quilmes ),
abandona presipitadamente el país
con su companiera Clara Hermo
y se instalan precariamente en Milán, Italia,
donde, con enorme esfuerso y desisión vital,
continuó el desarroyo de su prodigiosa
y nutrida trayectoria artística.
Varios premios internasionales
( Tokio (Japón), Lodz (Polonia ),
Berlín ( Alemania ), Nueva York ( EEUU )
jalonaron su travesía plásticopoética.

Compartamos un tierno abraso de solidaridad
con sus familiares y ayegados
y con todos aqueyos que conosieron
sus tareas y sus jornadas.

por
I POETI NOMADI

enea biumi y martín micharvegas

C@ri comp@gni ed @mici
abbiamo un peso tristissimo
nel darvi questa notizia:
il nostro amico fraterno
e, tra l'altro,
collaboratore dei PN,
Julio Paz
 pittore, disegnatore, incisore,  grafico
 di enorme talento e proverbiale generosità,
 è morto nella mattina di venerdì 5 febbraio,
 all’Ospedale Sacco, di Milano
 a causa di una infezione
 derivata da una malattia polmonare cronica.
 Era nato a Buenos Aires, nel 1939.
 Nel 1976, minacciato sul luogo di lavoro
 (era professore di disegno e pittura
 alla Escuela de Beyas Artes "Carlos Morel", de Quilmes),
 abbandona precipitosamente il paese
 con la sua compagna Clara Hermo
 e si stabilisce provvisoriamente a Milano,
 dove, con enorme sforzo e decisione vitale,
 continuò l’ascesa della sua prodigiosa
 e nutrita  traiettoria artistica.
 Vari premi internazionali
 (Tokio (Japón), Lodz (Polonia),
 Berlino (Germania), New York (Stati Uniti)
 corollarono il suo cammino plasticopoetico.
 
  Diamo un tenero  abbraccio di solidarietà
 ai suoi famigliari e amici
 e a tutti quelli che conobbero
 le sue fatiche e le sue giornate.
 
 per
 I POETI NOMADI
 
 enea biumi e martín micharvegas

JULIO PAZ:
Un plástico de la condición humana

José Carlos Díaz, diplomático de la Embajada Argentina en Roma,
acaba de llamarme por la media tarde:
" Julio Paz ha muerto esta madrugada en el Hospital Sacco, de Milán".
Estupefacción, incredulidad.
Y si bien con José Carlos somos viejos amigos del artista y sabíamos muy bien sobre su frágil salud,
esta funesta malanueva no dejó de impactarnos.
Es tópico, sí: la muerte canoniza a los difuntos,
pero qué perdida inigualable la de este gran hombre y gran creador.
Fue a las 2 horas del 5 de febrero de 2010. Fallo sistémico:
sucumbió a una complicación infecciosa por una patología pulmonar crónica.
Caracterizado por su humor agudo y su ironía feroz, Julio Paz me escribía
al dorso de una fotografía de la explanada del Palazzo Reale de Milán,
cubierta con cartelones de anuncios de las muestras albergadas en mayo/ junio del 2008,
y donde exhibían una nutrida selección de sus trabajos:
" Es siempre un gran placer exponer, cada tanto, con los amigos."
Los "amigos" eran, en este caso: Leonardo da Vinci, Giacommo Balla,
Antonio Cánova y Francis Bacon.
Su muestra la tituló, " la mano que..."
y obtuvo un resonado reconosimiento crítico: pinturas polícromas de grandes dimensiones,
témperas inquietantes de una serie erótica, aguafuertes y puntas secas
de su iconografía habitual sobre el sujeto humano.
Todo bien realizado, técnicamente inobjetable, imaginativamente espléndido.
Proyectaba un nuevo viaje en este enero para ver Buenos Aires
y en ella reencontrarse con amigos, colegas, familiares y así revivir
por unos días las viejas experiencias de identidad y pertenencia:
en setiembre de 1976,
a pocos meses del golpe militar de marzo,
 tuvo que abandonar precipitadamente junto a su compañera, la también artista plástica
Clara Hermo, y salir clandestinamente del país que amaban
y buscar refugio y seguridad en Italia. Específicamente en Milán.
Trabajaba entonces como profesor en la misma escuela de Bellas Artes,
donde de adolescente cursó estudios: la "Carlos Morel", de la ciudad de Quilmes.
Paz había recorrido Italia en los años 70
con un fondo de apoyo al perfeccionamiento de la empresa
 para la que trabajaba como diseñador gráfico: Olivetti Argentina.
Ese viaje iniciático, también comprendió España, Suiza, Inglaterra y Francia,
donde vió y evaluó a los maestros clásicos de la pintura europea:
Goya, Turner, Whisler. En París, conoce y frecuenta a Julio Córtazar.
Lector riguroso y perceptivo, cinéfilo y melómano, en su desarrollo artístico ,
sincretizó con sus temas "narrativos", hondas lealtades y reminiscencias,
esta pasión por las novelísticas y las poéticas.
Uno de esos escritores admirados fue Juan Carlos Onetti,
con quien mantendría una sólida amistad. Y en poesía,
su fascinación por tres fuertes líricos argentinos:
Raúl González Tuñón, Oliverio Girondo, Juan Gelman.
A todos ellos y muchos mas autores, retrató en magníficas recreaciones.
Nada de lo relacionado con la escritura le era vedado.
El lapso entre 1985/1987, fue para nuestro amigo como tocar el cielo con los dedos.
Tres importantes premios internacionales acreditaron sus trabajos:
el de Grabado de Tokio ( Japón ), la "IV Bienal de Lodz" ( Polonia ),
la "Trienal Internacional Intergráfica" de Berlín ( Alemania ).
Y varios son los críticos que ameritaron su tarea:
 Hugo Monzón, Roberto Sanesi, Giorgio Seveso, Antonello Negri, entre otros.
En 50 años de duro empeño, tesón y visionario talento hipersensible, nuestro artista
 - un trabajador infatigable, leal a los desventurados paisajes humanos locales
 y latinoamericanos ligados con fuerza al ser universal ( su épica menor ) -,
concreta alrededor de 10 mil obras, entre dibujos, pinturas, grabados, viñetas
( ilustró temas de actualidad para el periódico italiano " Corriere de la Sera" ),
destacando que no es aquí lo cuantitativo sino la intensidad cualitativa,
la que hará perdurable su creatividad original). Flota
la pregunta inquietante de quién o quiénes, dónde y cuándo,
esta valiosísima obra será recatalogada y preservada,
ya que las condiciones precarias del artista
le permitían atender con afán sus realizaciones,
 pero no otros aspectos de su cuidado y conservación.
Julio Paz vivía en su casa-taller de la Via Belgirate, en Milán,
rodeado de sus obras, sus archivos personales, su biblioteca imprescindible,
su epistolario, si arte postal ( mail art ), cuando le sorprende la muerte.
En un catálogo de mano de su muestra rescatada, "La Condición Humana"
(51 aguafuertes, Palazzo Sormani, Milán, diciembre 1982 ),
cerraba aquella presentación con estas palabras que escribí:
"Mi amistad con Julio Paz es tan consistente como cualquiera de las incisiones de sus grabados.
Me agradaría cerrar este escrito con una frase de la última carta que me envía,
donde describe el lugar desde el cual concibe y crea:
" Debés recordar que aunque soy un hombre comprometido,
también mi triunfo es fugaz y dura sólo el tiempo que empleo para grabar una plancha
o realizar una pintura;
luego entro en aquella región multitudinaria del resentimiento y de la tristeza,
de la angustia y la piedad, donde predomina la inteligencia coordinadora
 que regula las emociones autodestructivas."
Toda una poética, una programática vital, ascética y coherente.
Julio, sólo una vez mas ante este muelle de las despedidas, y con la firmeza
que lo sostenías : "Frente a las ferias de las vanidades, la condición humana."

Julio Paz nació en Avellaneda, provincia de Buenos Aires, Argentina,
el 8 de julio de 1939.
 Falleció en Milán, Italia, el 5 de febrero de este año.
Poni Micharvegas
www.micharvegas.com.ar

Un plastico della condizione umana

José Carlos Díaz, diplomatico della Embajada Argentina a Roma,
mi ha appena chiamato questo pomeriggio:
" Julio Paz è morto questa mattina all’Ospedale Sacco di Milano".
Stupore, incredulità.
E sebbene con José Carlos siamo vecchi amici dell’artista
e sappiamo benissimo della sua fragile salute,
questa funesta notizia ci impressionò.
E’ topico, sì: la morte canonizza i defunti,
però che perdita ineguagliabile quella di questo grande uomo e gran creatore.
Avvenne alle due del 5 febbraio 2010. Incrinatura sistematica:
soccombe ad una complicazione infettiva per una patologia polmonare cronica.
Caratterizzato dal suo umore acuto e dalla sua ironia feroce, Julio Paz mi scriveva
sul dorso di una fotografia del cortile del Palazzo Reale di Milano,
coperta con cartelloni di annunci delle mostre ospitate in maggio/giugno del 2008,
e dove c’era una nutrita selezione dei suoi lavori:
" E’ sempre un gran piacere esporre, ogni tanto, con gli amici."
Gli "amici" erano, in questo caso: Leonardo da Vinci, Giacommo Balla,
Antonio Canova e Francis Bacon.
La sua mostra la titolò, " la mano que..."
e ottenne un molteplice riconoscimento critico: pitture policrome di grandi dimensioni,
tempere inquietanti di una serie erotica, acqueforti e punta secca
della  sua iconografia abituale sul soggetto umano.
Tutto ben realizzato, tecnicamente insindacabile, immaginativamente splendido.
Progettava un nuovo viaggio in questo gennaio per vedere Buenos Aires
e qui reincontrarsi con amici, colleghi, familiari e così rivivere
per alcuni giorni le vecchie esperienze di identità e appartenenza:
nel settembre del 1976,
a pochi mesi dal golpe militare di marzo,
 fu costretto ad abbandonare precipitosamente insieme con la sua compagna,
 lei stessa artista plastica, Clara Hermo, e uscire clandestinamente dal paese che amavano
e trovare rifugio e sicurezza in Italia. Specificatamente a Milano.
Lavorava allora come professore nella stessa scuola di Belle Arti,
dove da adolescente studiò: la "Carlos Morel", della città di Quilmes.
Paz aveva percorso l’Italia negli anni 70
con una borsa di studio per perfezionamento della società
 per cui lavorava come disegnatore grafico: Olivetti Argentina.
Quel viaggio iniziatico, comprese anche la Spagna, la Svizzera, l’Inghilterra e la Francia,
dove visse e  conobbe i maestri classici della pittura europea:
Goya, Turner, Whisler. A Parigi, conosce e frequenta Julio Córtazar.
Lettore rigoroso e percettivo, cinefilo e amante del bel canto, nel suo progresso artistico,
sincretizzò con i suoi temi "narrativi", profonde lealtà e reminiscenze,
quella passione per i romanzi e le poesie.
Uno degli scrittori ammirati fu Juan Carlos Onetti,
col quale manterrà una solida amicizia. E nella poesia,
fu affascinato da tre grandi lirici argentini:
Raúl González Tuñón, Oliverio Girondo, Juan Gelman.
A tutti loro e ad altri autori, fece il ritratto con magnifiche reinterpretazioni.
Nessuna relazione con la scrittura gli era vietata.
Il lasso di tempo 1985/1987, fu per il nostro amico come toccare il cielo con le dita.
Tre importanti premi internazionali accreditarono i suoi lavori:
quello di Grabado inTokio (Giappone), la "IV Bienal de Lodz" (Polonia ,
la "Triennale Internazionale Intergrafica" di Berlino (Germania).
E vari sono i critici che elogiarono la sua capacità:
 Hugo Monzón, Roberto Sanesi, Giorgio Seveso, Antonello Negri, tra gli altri.
In 50 anni di duro impegno, tensione e visionario talento ipersensibile, il nostro artista
 - un lavoratore infaticabile, leale nei confronti degli sventurati paesaggi umani locali
 e latinoamericani legati con forza all’essere universale (la sua epica minore) -,
concretizza circa 10 mila opere, tra disegni, pitture, incisioni, vignette
(illustrò temi di attualità per il " Corriere de la Sera"),
ricordiamoci che non è tanto la quantità quanto la intensità qualitativa,
quella che completerà la sua creatività  originale.
C’è una domanda inquietante di chi e di quali, dove e quando,
questa validissima opera sarà ricatalogata e preservata,
visto che le precarie condizioni dell’artista
non gli permisero di attendere facilmente alla sua realizzazione,
 ma solo alla sua attenta conservazione.
Julio Paz viveva nella sua casa-atelier di Via Belgirate, a Milano,
circondato dalle sue opere, dai suoi archivi personali, dalla sua biblioteca imprescindibile,
dal suo epistolario, arte postale (mail art), quando lo sorprese la morte.
In un catalogo della sua mostra "La Condición Humana"
(51 acqueforti, Palazzo Sormani, Milano, dicembre 1982 ),
chiudevo quella presentazione con queste parole:
"La mia amicizia con Julio Paz è tanto consistente come ciascuna delle sue incisioni.
Mi piacerebbe chiudere questo scritto con una frase dell’ultima lettera che mi invia,
dove descrive il luogo in cui vive e crea:
" Devi ricordare che sono un uomo compromesso,
anche il mio trionfo è fugace e dura solo il tempo che impiego per incidere
o realizzare una pittura;
entro quella regione multitudinaria del risentimento e della tristezza,
della angustia e della pietà, dove predomina la intelligenza coordinatrice
 che regola le emozioni autodistruttive."
Tutta una poetica, un programma di vita, ascetico y coerente.
Julio,
solo una volta ancora davanti a questo molo delle partenze, e con la forza
che lo sosteneva:
"Prima della fiera delle vanità, la condizione umana."

Julio Paz nacque ad Avellaneda, provincia di Buenos Aires, Argentina,
l’8 luglio del 1939.
 Morì in Milano, Italia, il 5 febbraio di quest’anno.

Poni Micharvegas
www.micharvegas.com.ar
traduzione: Enea Biumi

 Aquel verano del 82 en Milán

Me acuerdo muy bien de aquel verano del 82 en Milán,
cuando fuimos tan bien recibidos por Clara y Julio.
Recuerdo haberme sentido temerosa por resultar incómodos.
Sabíamos que su casa era pequeña y éramos tres los que llegábamos:
Sacha, Poni y yo.
Nos recibieron de manera sorprendente.
Enseguida la conexión fue total y la casa se me antojó un palacio mágico.
Hubo sitio liliputiense para cocinar, reir, pintar y adorar a la gata Soluna:
Emperatriz de la casa-taller y personaje felino
elevado a estampilla de Arte Postal ( Mail Art )
por amor, obra y gracia de Julio.
Tuvimos tiempo para pasear,dibujar,comer y escuchar como niños de barrio,
las historias narradas en cada pintura, sentados en el suelo. Absortos.
Descubrimos el Fillum Gellum, un papel único.Como de nácar.
Aprendi para siempre que la Pasta se hierve en olla grande y vaya si lo era!
Sacha fue mas libre que nunca en vecindad con aquel Arte.
El Maestro le dió alas y apostado a su lado, voló con sus pinceles.
Los cinco nos fuimos a Venecia a beber Tintoretos:
La Giudecca!
Los hombres delante y Clara y yo detrás.
Nos partíamos de la risa fantaseando ser cortesanas en otra época.
Admiramos la puesta de sol .
Descubrí en aquellas fachadas la Anarquía mas bella
Paseamos por los canales ronroneantes en lanchones turísticos.
Alguien de un restaurante nos invitó y aceptamos.
Hastahí (sic), nomás.
Se trataba después de pedir una cena imposible.
Regresamos en el Vaporetto
y compartimos un cuarto de pensión en dulce manojo.
Una época que guardo en la caja fuerte de mi corazón.
Julio, hermoso: descansa en Paz.

Maite Del Castillo
Ibiza / 10. 02. 2010

Dibujos de Maite Del Castillo, Ibiza, 1982

Quell’estate dell’82 a Milano

Mi ricordo molto bene di quell’estate dell’82 a Milano,
 quando fummo ricevuti magnificamente da Clara e Julio.
 Ricordo di essermi sentita timorosa come incomoda.
 Sapevamo che la sua casa era piccola ed eravamo in tre ad arrivare:
 Sacha, Poni ed io.
 Ci ricevettero in maniera sorprendente.
 In seguito l’armonia fu totale e la casa mi si presentò come un palazzo magico.
 C’era un sito lilipuzziano per cucinare, ridere, dipingere e adorare la gatta Soluna:
 Imperatrice  della casa-atelier e personaggio felino
 elevato a francobollo di Arte Postal (Mail Art)
 per amore, opera e grazia di Julio.
 Avemmo  tempo per passeggiare, dipingere, mangiare ed ascoltare come bambini del barrio,
 le storie narrate in ciascuna pittura, seduti sul pavimento. Assorti.
 Scoprimmo il Fillum Gellum, una carta unica. Come di madreperla.
 Appresi per sempre che la Pasta si serve in una pentola grande ed era proprio così!
 Sacha fu più libero che mai nella vicinanza con quell’Arte.
 Il Maestro gli diede corda e appostato al suo fianco, volò con i suoi pennelli.
 Tutti e cinque fummo a Venezia a berci il  Tintoretto:
 La Giudecca!
 Gli uomini davanti e Clara ed io dietro.
 Ci divertimmo fantasticando di essere cortigiane in un’altra epoca.
 Ammirammo la solarità del momento.
 Scoprii in quelle facciate l’Anarchia più bella
 Andavamo per i canali dondolandoci sulle piccole imbarcazioni.
 Un ristoratore ci invitò e accettammo.
 Fin lì (sic), non di più.
 Si trattava poi di chiedere una cena impossibile.
 Ritornammo col Vaporetto
 e dividemmo una stanza della pensione in un dolce legame.
 Un periodo che guardo nella cassaforte del mio cuore.
 Julio, grazioso: riposa in Paz.
  
 Maite Del Castillo
 Ibiza / 10. 02. 2010
traduzione: Enea Biumi

Maestro Julio Paz

 Su ”Mano laboriosa de julio”
está ahora en reposo, pero
su ”Mano cardinal”
sigue señalando la dirección:
 
“Mantengan la anchura
caliéntense mutuamente
acérquense un poco más a nosotros”.

 Ingrid Wickström 
Citas de Martín “Poni” Micharvegas,
Bengt Emil Johnson (traducción del sueco)

Sentitamente

La Partenza di un artista brillante
 è come una stella
che, come stelle,
si spegne nell’universo,
ma continua a sfavillare
per secoli a venire agli occhi umani.
 
Ad occhi che sanno ancora guardare,
che sanno aprirsi e stupirsi.
Ad occhi che sanno sognare, piangere e ridere.
La Partenza di un artista
non è mai definitiva,
ed è questo che consola.
 
Maria Adele Popolo

CORRIERE DELLA SERA
ADDII

L' avventura di Julio Paz dall' Argentina di Videla ai ritratti del «Corriere»
A 71 anni è morto Julio Paz, il pittore argentino che viveva in Italia dal 1976,
da quando aveva lasciato il suo Paese
dominato dagli squadroni della morte del generale Videla.
Il pubblico italiano lo ha apprezzato nel 2008,
decretando il successo della sua mostra «La mano que» a Palazzo Reale di Milano.
I nostri lettori lo conoscono per gli oltre 200 ritratti di personaggi famosi
 pubblicati dal «CorrierEconomia».
Esponente di una pittura tra espressionismo e tradizione popolare sudamericana,
 aveva esposto a New York, Tokyo e Berlino.
Paz era persona elegante: nei modi gentili, nell' ironia
 e nell' accento spagnolo che portava come una delle sue sciarpe di seta viola.
L' appartamento di via Belgirate, un tempo dominio del gatto Juanito,
dove gli amici lo raggiungevano per le cene siciliane
preparate dalla compagna Marinella,
 era la sua bottega rinascimentale in periferia: un caos ordinato zeppo di quadri,
ex voto e oggetti vari che poco a poco, come attori disciplinati in attesa della ribalta,
sarebbero entrati nei suoi quadri.
Julio era il contrario dell' artista-imprenditore
che sforna quadri on demand spinto dal mercato.
Accurato in modo maniacale, usava tecniche lente di origine cinquecentesca
come la tempera a uovo.
Pittore geniale, era del tutto incapace di autopromozione.
Di autodifesa.
Un artista e un amico raro che ci mancherà.

Edoardo Segantini
( 6 febbraio 2010)

Addio a Julio Paz argentino milanese

Repubblica — 06 febbraio 2010 pagina 8 
JULIO Paz, pittore e incisore argentino, è morto ieri a 70 anni per una crisi respiratoria. 
Paz, che aveva lasciato Buenos Aires dopo il colpo di Stato nel 1976, da allora viveva a Milano. 
A consacrare il legame dell' artista con la sua nuova città, dove era arrivato come grafico per Olivetti, 
è stata una mostra personale a Palazzo Reale dello scorso anno. 
Formatosi a Quimels, Paz ha insegnato disegno fino al momento dell' esilio, cheè stato per lui una rinascita: 
dal 1978 ha esposto dipinti, incisioni e disegni in numerosi musei italiani, europei, americani e asiatici, 
ottenendo riconoscimenti internazionali. I funerali, oggi alle 15 al cimitero di Lambrate.


Cecidere manus
 
Non so cosa darei
Per trovare parole
Che parlano di te
 
Guardare questo vuoto
Che sfugge la bellezza
Che eterna la paura
Del nulla eterno
 
Cecidere manus
 
E la tua casa atelier
È una nebbia del trascorso
Gli occhi che strizzavi
Nel sorriso generoso
Dell’ascolto e dell’accolto
 
Un po’ curvo su di me
Quasi nell’atto d’abbracciarmi
Mi solcavi l’animo
Nel sogno della poesia
Nei ritratti artisti amori
Nella Mano que
 
Cecidere manus
 
Adesso ho freddo
Piove ed è notte
La nebbia è più fitta
E l’inverno prosegue
Nel suo gelo che morde
 
Sul muro il ritratto
Di Seiwert nel 1928
Mi àncora a te
Con la dedica
 
A Maria Luz
Y su heteronimico
Esposo
Enea Giuliano
Este pequeño
Recuerdo
Del amigo
Julio
Milano 6.12.2000
 
Cecidere manus

Enea Biumi

Da Draghi a Mundell i suoi grandi ritratti su «CorrierEconomia»
Addio a Julio Paz, pittore della finanza

È scomparso a Milano, venerdì scorso, 5 febbraio, Julio Paz .
Pittore e incisore argentino, 71 anni, fuggito da Buenos Aires nel 1976
per la persecuzione degli squadroni della morte di Jorge Videla
(un periodo della sua vita che non riusciva a ricordare senza piangere),
Julio era un collaboratore storico di CorrierEconomia.
Suoi più di 200 ritratti, da Mario Draghi al Nobel Robert Mundell:
 l' ultimo lavoro, il primo febbraio scorso. Ha esposto a Tokyo e Varsavia, Berlino e New York.
 Nella sua pittura onirica e meticolosa c' erano i temi dell' amore, della madre, della giovinezza.
Elegante senza sfarzi, galante, sempre gentile, riservato
- sul successo della sua mostra La mano que, prorogata nel 2008 per un mese a Palazzo Reale di Milano,
si limitava a sorridere, stringendo gli occhi -,
Julio era un uomo raro e fuori dal tempo, ricco di humour ed entusiasmi.
Sarebbe stato bene negli anni Trenta, con André Breton.
Era l' amico con il quale parlare di arte e d' esistenza, mangiare una pizza, ricordare.
«Hola!», diceva quando entrava sorridendo in redazione.
Non aveva mai imparato bene l' italiano.
Era bravissimo. Ci mancherà.

GUIDO CAGNAN
(8 febbraio 2010)


Arrivederci Julio, arrivederci!
 
Arrivederci Julio, arrivederci! Apretón de manos y abrazo,
tal cual nos despedíamos cada vez que nos encontrábamos
cuando la vida me arrimaba por Milano.
No fueron tantas, pero si las suficientes para encontrar,
conocer y descubrir a un ser humano, un artista inmenso.
A los dos, a él y a Clara, su bella y abnegada compañera,
que lo sobrevive, ahora que El Flaco nos lega su ausencia.
Para los que no lo conocieron, El Flaco trasuntaba más que transmitía.
Como buen flaco era nervioso, inquieto.
Como artista, sereno, observador, reflexivo, lo que resultaba una personalidad mezcla del tímido
devenido a audaz y el nervioso contenido. Su válvula de escape de tal caldera mental,
eran sus obras, su tarea
y sus gestos, siempre desbordados por una pizca de humor ni crítico ni obvio,
sino creativo.
Recaló en Milano a mediados de 1976, salvando él y Clara la cabeza de la feroz dictadura militar
que, por entonces, torturaban y asesinaban opositores en Argentina
 y en casi toda América del Sur.
Y fue Milano, porque es para allí donde salía el primer avión que encontró en el aeropuerto.
Subieron, viajaron y llegaron a la capital mundial de la moda, el lujo,
el consumismo, sin maletas, apenas un pequeño bolso de mano,
 tal la premura vital de la situación.
Atrás quedaban su Bernal natal, (un perdido pueblo al sur, ahí nomás,
en el suburbano de la capital argentina), donde vivía, trabajaba, se forjó y militaba.
Y su cargo de profesor de arte, y por ocasiones ilustrador publicitario.
Vivían cerca de la vía de la estación de tren, ya por entonces semiabandonada.
Lo conocí en Milano, en el 84 a través de unos compatriotas,
y enseguida establecimos una sintonía de afecto y amistad solidaria,
a la que somos tan proclives los argentinos en el exterior.
Julio acababa de ganar un premio (creo que en Suiza), a “los más bellos libros del mundo”.
Sí, con un libro, un despropósito con ilustraciones y textos suyos.
Porque Julio se disparaba por donde podía con su genio, sin contenerse en formas.
Resulta que él, estudioso y admirador de Van Gogh,
descubrió en los textos de las cartas de éste a su hermano Theo,
un vacío, una ausencia, (quizás cartas que se perdieron),
de tres meses sin correspondencia entre ellos.
Qué hace Julio..? Zip, zap… y con la entrañable ternura
que mantenemos en el recuerdo a nuestro lugar de origen,
los que por un motivo u otro debimos abandonarlo, decide invocar el nombre de Bernal,
instalándolo ahí a Vincent, en una tan fantasiosa, enigmática como creíble estadía.
Con la paciencia del artesano, practica imitar su manera de narrar,
de expresarse, de abocetar, y hasta su caligrafía. Experimenta con papeles teñidos de té,
(para lograr el matiz añejo de los verdaderos escritos), y lo logra.
Producto de ello una gran exposición en Milano, y luego el libro.
Pastizales, la estación de tren abandonada, el río a lo lejos, surgido de la tinta y los recuerdos,
guiados por los trazos cual un auténtico Van Gogh.
La muestra movilizó enseguida a los tan poderosos como carroñeros traficantes de arte,
atraídos por tan “interesante hallazgo”.
Incluso visitó la muestra, una delegación especialmente enviada desde Moscú.
“Estuvieron dos días”, me contaba Julio.  Analizaron los trabajos, y me mandaron al mismísimo demonio! ,
seguía narrando entre risas.
Lo de “arte postal” ( Mail Art ), ya lo andaba experimentando por ése entonces.
Eran todavía tiempos de sobres, estampillas (sellos), caligrafía y papel finito,
casi siempre manchado de vino o mate, que es lo que los argentinos consumimos
cuando escribimos a los amigos, estemos donde estemos.
Julio, con la meticulosidad de un pintor superrealista, dibujó, pintó y recortó, un cuadrito, imitando una estampilla.
Escribió un texto donde aclaraba que se trataba (no de un intento de estafar al rigurosísimo fisco italiano),
sino una experiencia artística. Metió todo en un sobre,
le puso a modo de franqueo su “estampilla artesanal”, y se mandó a sí mismo la carta.
Que con gran alegría y satisfacción recibió a los pocos días en su casa,
lógicamente sellado por la oficina de correos.
Cumplido satisfactoriamente el hecho, era común recibir correspondencia de Julio,
que además de los obligatorios y lógicas estampillas, venían franqueadas,
 (debidamente selladas) por otras, surgidas de su mano y su talento.
Tampoco era la primera vez que Julio intentara tal descolocación en su arte,
de sus obras, de su tarea.
Ya había experimentado antes en Bernal, una propuesta insólita,
 pintando a mano cajitas de fósforos
 (cerillas), con una mínima y acotada pretensión de venderlas y obtener algún ingreso económico.
 Que sucumbió cuando un avispado empresario,
le encargó dos mil cajitas, para dos días después, y ese fue el fin del emprendimiento.
Julio gustaba de dibujar a lápiz. En la patria de los colores, los frescos, las tierras siena,
él austeramente prefería recurrir a la tinta china o al lápiz.
Los usaba en enormes papeles, apartados de las medidas que se se suponen lógicas para cubrir a lápiz.
 
Transgresor? Transgredir?
 Posiblemente habría que revisar el término.
Convengamos que en tiempos imbéciles, donde el corte de pelo, o su largo, el arito
en el ojo o el tatuaje en el culo, supone una trasgresión, Julio,
(al igual que el otro inmenso Julio, Cortázar)
ejercía y nos hacía partícipes, cómplices de su sentir transgresor mínimo, cotidiano.
 De darle ésa segunda mirada a una realidad que de tan próxima, se nos pasa desapercibida.
Coleccionaba incluso sus propios “restos” de lápices que usaba. 
 Alineados y distribuidos en su multicoloridad exterior, creaba “cuadritos”, objetos,
 resignificándolos y exhibiéndolos en lo que luego dio en llamar “ex - votos”.
Ex - votos laicos, por supuesto!
Que hasta merecieron la atención del mismísimo Italo Calvino,
quien admirado de éstos en sus visitas a la casa-taller de Julio,
pergüeñaba un trabajo al respecto, malogrado por su temprana muerte.
Julio Paz, un nombre y una tarea, casi desconocidos en los ambientes de los artistas de una Argentina,
por momentos subsumida creativa y culturalmente,
 luego del exterminio o la expulsión de una generación a la que Julio mismo perteneció.
Quizás corresponda a los arqueólogos del arte, o a otros biógrafos,
rastrear datos certeros, cifras y ésas cosas a las que son tan adeptos.
Sólo intento exorcisar el dolor de la noticia de su muerte.
Y compartir con los que fuimos sus amigos,
(o los nuevos que lo descubrirán en un futuro),
el vacío, la nostalgia de la ausencia de un tipo genial.
Y la posta creativa que Julio nos deja, sea retomada por los más sensibles,
 audaces, inteligentes, que quizás sueñen en ser artistas cabales, íntegros de oficio e ideas,
como él lo fue.
Conservo vivo el abrazo que nos dimos al despedirnos,
“arrivederci”,
hace ya algunos años.
Y una escondida expectativa: quizás algún día, reciba una carta,
con textos y folletos perfectamente convincentes y descriptivos de la actividad de un Van Gogh,
ya viejito pero igualmente alterado, insoportable, obstinado en lograr el color de las nubes,
 (o las llamas…).
Y en el sobre, entre estampillas de reyes o próceres,
se les cuele una apócrifa, con la cara de san Pedro.
Si, seguro, no haría falta mirar el remitente: Julio Paz.
Tal ser humano, tal artista, tal amigo es de quién escribo,
 recordándolo para siembra y ejemplo de quien fue lo que en Argentina llamamos “un tipazo”,
 íntegro, un verdadero y completo artista.

Arrivederci Julio! Arrivederci!

Desde Caracas, Venezuela, al 22 de febrero del 2010.
Carlos Pesce
 
 
 


Una luz en las tinieblas, 1981, acquerello, 116 x 147 cm.


La luz, invento nacional, 1982, acquerello, acrilico, collage, 150 x 194 cm.


Teresa, La Mariposa, 1980, acquerello, 116 x 147 cm.

"A Julito Paz" disegno di Martin "Poni" Micharvegas, 2368 NE

"A Julito Paz" disegno di Martin "Poni" Micharvegas, 2368 NE

Catálogo Palazzo Reale Milano - 2009
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