Giancarlo Modena e Teodoro Giuttari
Più che di satira, a parere umile nostro, trattasi di saga, in chiave eroi-comica, della famiglia nobildecaduta dei Diemme (cognome derivato da E e M?): non si sa.
Poche le vicende accadute, scarna la trama, ne risulta un mosaico di personaggi, assai spassosi, descritti dall'autore con notevole vena, che sa di berlina.
Così la Chiesa, e, nella fattispecie, il nuovo parroco, ne escono con le ossa rotte: un parroco, quel don Sarti, "un metro e novanta di stoffa grigio-fumo di Londra, che terminava in un bianco e circolare colletto, entro il quale movevasi un gozzo in continuazione, su e giù su e giù, senza peritarsi minimamente di riposare" (almeno nell'aspetto, se non nel carattere, un prete alla Nanni Moretti, nella Messa è finita)
Tuttto il libro sembra ruotare attorno ad Amdrea, personaggio che non appare mai direttamente, ma che dà parecchio filo da torcere ai suoi genitori, preoccupati delle feste a sfondo erotico di un figlio fin troppo precoce per una tanta famiglia.
A tal punto da indurli a ospitare per sei mesi un luminare "crucco", esperto in psicanalisi; speranzosi di riportare il rampollo sulla retta via. Ma, ahimè, anche i crucchi, con tutto il loro teutonico efficientissimo0, poco possono fare di fronte a una carica erotica prorompente; anzi, il fantomatico prof. Foche (pronunciare Fok, che non tanto in tedesco, ma quanto in inglese suonerebbe: fottuto) si lascia andare, ormai oltre la cinquantina, a corteggiare una domestica di casa, pure lei oltre la mezza età, che volentieri gli fa trovare aperta la porta della sua camera, e gli apre anche le gambe e in un raptus amoroso gli chiede se sarebbe il caso di smettere la pillola èer fare un piccolo fochino.
Bella figura è quella del padrone di casa, il prof. Luigi Diemme, sempre straniato dalla famiglia per immergersi nelle sue occupazioni botaniche. Nelle prime pagine lo cogliamo alle prese con gli innesti del gelso, assai complicati per uno come lui che, per tutta la vita si è dedicato all'insegnamento del altinorum e che mai si era bucato con spine di rose, al massimo si era sporacto di nero currenti calamo. Ora deve imparare l'arte del giardiniere su un manuale (volgarissimo) del fai da te.
Lui che vanta nella sua biblioteca, nientemeno che la presenza della storia patria del Ripamonti, una pergamena di Maria Teresa, un manifesto originale dei futuristi e, dulcis in fundo, il mondo mahico degli Heroi di C€sare della Riviera, con tanto di frontespizio: "approbatio operis, die 14 novembris 1604, imprimatur servatis regulis -indice nove- Don Gulielmi Vidonis concedit ut imprimi possit"; e che fa a gara (nobile gara) con la sua collega Mombelli - eterna vergine occhialuta - che, al più, gli può sventolare sotto il naso una Edizione antica della ventisettana, facendolo andare in sollucchero.
Ma anche i professori possono sviluppare un certo qual senso poetico, così Luigi, capita l'antifona, tralascia le more e si dedica alle piante di erboristeria: le tisane fanno sempre bene, anche al portafoglio.
Insomma, una storia di servi e padroni, anzi di serve: "si rivedeva sbatacchiata là, sul proprio letto, con le vesti strappate a viva forza e il corpo segnato di lividi...": il tutto stemperato da ricordi di storia patria; c'è anche una bella pagina su Garibaldi ... "... non mancava mai la rievocazione dell'abbraccio fra Garibadli e pà Zepìn: e quel fazzoletto rosso dell'Eroe, donato alla nostra famiglia da lui medesimo stesso, e il pagliericcio, introvabile ormai, sul quale il Generale riposò le fatiche di una giornata colma di strenui comattimenti"
Anche se è un libro senza trama (ma quanti episodi!), lo troviamo lodevole, originalissimo, appezziamo la sottile vena ironica dell'autore, di per sè bastevole a costruirne un libro singolare. A noi, non lombardi nè terroni, le righe in dialetto danno la sensazione di spezzare il ritmo del narrare, ma sia, una sana e velata satira può piacere tanto a Bressanone quanto a Gallipoli in Puglia, e perchè no?, anche a Tindari di Sicilia.
Giancarlo Modena
Quello che nell'acclusa trama il nostro collaboratore, dottor Giancarlo Modena, non ha percepito o non ha messo in rilievo di questa "Bosinata" è la preziosità del linguaggio dell'auotore; preziosità in tutti i sensi.
Anzitutto non è facile per tutto il libro mantenere il brio, la facilità e felicità espressiva; e lui ci riesce; inoltre, mascherata da una lingua andante e dal dialetto, possiede un linguaggio coltissimo, originale, che a volte non sai se è dialetto o purissimo italiano, il quale mi ha costretto a tenere a portata di mano quello stesso vocabolario "Devoto-Oli" che egli cita; ma sarebbe da poco conto se questo linguaggio colto fosse ostentato; no, è amalgamato al dialetto e al linguaggio corrente con tale naturalezza che il lettore poco accorto non lo nota.
C'è un grande scrittore lombardo, forse il più grande del secolo, Carlo Emilio GAdda, che, oltre a moltissimi argomenti difficili e a dolorosissime angoscie, non disdiceva i ghirigori e le bosinate. Ebbene ci sono pagine felici, scorciatoie, accenni per dire molte cose che non sarebbero dispiaciute al "Gran Lombardo".
Inoltre non è assolutamente vero - almeno secondo me, che sono il più meridionale di questa casa - che le espressioni dialettali rompano il ritmo della narrazione che è tutta... una stornellata dal principio alla fine.
Ad un certo punto l'auotre deride le "e" larghe dei lombardi. Non credo però che sul dattiloscritto tutte le e siano larghe per questo motivo: credo che lo siano per vezzo (o vizio) della dattilografa; per cui, ripensando il libro per i tipografi, dovremo correggerle.
Teodoro Giuttari (Todariana Editrice)