Gabriella Cucca
Gabriella Cucca è nata a Dorgali, in provincia di Nuoro, l'8 maggio 1962. Da anni risiede in Romagna, a Mezzano di Ravenna con il suo compagno Benito La Mantia. Laureata in Lettere nell'Università di Ferrara, si è occupata a lungo di poesia. Ha collaborato a varie riviste poetiche e letterarie e partecipato a numerosi readings e a diverse presentazioni di libri.
Benito La Mantia e Gabriella Cucca
Libri Proibiti. Quattro secoli di censura cattolica.
Prefazione di Lidia Menapace.
Stampa Alternativa. 2007
Con l'enciclica “Libertas” del 1888 di Leone XIII, in cui viene denigrata
la libertà di pensiero, di stampa, di parola e di culto, considerandola "innaturale",
si può affermare che inizia la storia della censura moderna.
Ma “Libri proibiti”, non si ferma qui. Benito La Mantia eGabriella Cucac narrano con piglio giornalistico e con scientificità storica, quattro secoli di censura cattolica, che vanno dalla metà del 1500, secolo in cui fu inaugurato “l’Indice”
da papa Paolo IV, fino al 1966, secolo in cui fu abolito da parte di Paolo VI.
I nomi sono quelli di famosi scienziati, scrittori, filosofi, poeti. Da Giordano Bruno
a Thomas Mann, da Ariosto a Galileo, dal Corano a Sartre, per arrivare
a quelli attuali "sconsigliati dalla chiesa", come Il Codice da Vinci.
(Si può contestare il romanzo, ma censurarlo no).
“Libri proibiti” ripercorre sia l’attività censoria sia le sue conseguenze: migliaia di volumi al rogo, è vero, ma anche autori, stampatori, lettori, divulgatori. (L'ultimo rogo dei libri, avvenne nel 1957 nel cortile della questura di Varese,
in cui si bruciò una raccolta di racconti di De Sade).
In tal modo avremmo avuto, come conseguenza, una morte totale
della cultura e delle coscienze. Fortunatamente invece si è avuta una resistenza,
sia pur drammatica, all’oscuramento culturale. Tanto è vero che oggi, paradossalmente, l’Indice potrebbe rappresentare un percorso scientifico
per chi intende conoscere e studiare il pensiero non solo del perseguitato,
ma anche di una cultura a margine, o come si direbbe in termine moderno
border line.
E’ interessante,poi, la conoscenza anche delle opere cosiddette purgate, che vengono proposte nel prima e nel dopo "purga", e alle parole dei censori
o di chi ne subiva la censura.
Da qui si intuisce come ancor oggi la volontà censoria della Chiesa
non sia venuta meno, nonostante l’abolizione dell’Indice. Infatti, il suo pensiero,
più o meno teologico, condiziona o vorrebbe condizionare leggi, politica,
società ed etica, anche nel terzo millennio.
Così come esiste un altro tipo di censura, ben più sottile, che è quella dell’indifferenza, del menefreghismo, dell’egoismo sociale.
Le "Pasquinate" erano foglietti affissi su un'antica statua greca, posta in un angolo d’una piazzetta romana. Gli scritti satireggiavano su fatti realmente accaduti e di cui non era molto prudente parlare liberamente. Opera di vari autori, rimasti per lo più sconosciuti, questo vezzo (immortalato
dal regista Luigi Magni nel famoso film "In nome del Papa Re", del 1977, con Nino Manfredi) proseguì nel tempo per vari secoli, fin quasi ai giorni nostri. Da questa moda prende spunto il romanzo di La Mantia e Cucca, che non solo come romanzieri, ma anche come storici competenti, guardano la Roma barocca del '600, la Roma di Alessandro VII, Papa Chigi.
Il protagonista assoluto, però, è Salvator Rosa, pittore nato a Napoli nel 1615 e morto a Roma nel 1673. Rosa era partito da Napoli poco dopo i vent'anni, si era dapprima stabilito a Firenze, per una decina d'anni circa, ove conobbe la madre dei suoi figli, Lucrezia, una donna separata dal marito. Trasferitosi a Roma, visse con lei more uxorio, in un periodo in cui non era certo agevole compiere simili scelte.
Ma la Roma di quegli anni in cui Rosa andò ad abitare era una città povera, oppressa dalla cappa del potere temporale di Papa Chigi, che nei posti
di comando aveva inserito quasi tutti i suoi parenti senesi. Corruzione, immoralità,
icenziosità e violenza erano all’ordine del giorno. Così il papa tiranneggiava
ed opprimeva il popolo.
E’ in questo contesto che un amico di Rosa, lettore all’Università
della Sapienza, viene ingiustamente accusato dell'omicidio della giovane moglie, ritrovata nel Tevere. Il pittore, leggendo una "Pasquinata", che sarà poi la chiave
della vicenda, nonché coadiuvato da alcuni influenti cardinali, ammiratori
della sua opera, si mette ad indagare.
Non a caso, poi, quasi tutti i protagonisti dell’intricata vicenda ruoteranno attorno al suo quadro ‘La Fortuna’, esposto il 29 agosto 1659, presso il chiostro
di S. Giovanni Decollato. (Il dipinto, allora, suscitò scandalo perchè, attraverso un'efficace allegoria, Rosa denunciò e ridicolizzò il potere di Alessandro VII).
Salvator Rosa appare in questo romanzo come effettivamente doveva essere stato, cioè, spirito indipendente e ribelle, dissenziente nei confronti di un potere corrotto che reprimeva la libertà di pensiero e di coscienza attraverso il tribunale dell’Inquisizione e l’Indice dei libri proibiti.
Superfluo raccontare la fine della vicenda. Ma utile invece sottolineare come questo romanzo di pura invenzione si ricolleghi a vicende storico sociali dell'epoca, intrecciandosi con autentici avvenimenti della vita del pittore.