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Cesar VALLEJO

César Abraham Vallejo Mendoza (Thomas Merton lo chiamava "il più grande poeta universale, dopo Dante", e il poeta, critico e biografo Martin Seymour-Smith, una delle principali autorità della letteratura mondiale, ha detto di lui: "... il più grande poeta del XX secolo, in qualsiasi lingua") nacque a Santiago de Chuco, un villaggio andino del Perù. Fu il minore di undici figli e studiò all'Università Nazionale di Trujillo. Il poeta interruppe varie volte gli studi per lavorare in una piantagione di canna da zucchero, dove si rese conto di come venivano sfruttati i contadini; fu un'esperienza che influì sulla sua visione sia politica che estetica. Vallejo si laureò in lettere nel 1915.

Più tardi si trasferì a Lima, dove lavorò come insegnante e si avvicinò ai membri della sinistra intellettuale. Dopo una serie di difficoltà riuscì a pubblicare il suo primo libro di poesie Los heraldos negros: sua madre morì nel 1920 e dopo essere tornato a Santiago de Chuco fu imprigionato per 105 giorni con l'accusa di essere un incendiario, prima di aver dimostrata la propria innocenza.

Dopo aver pubblicato Trilce nel 1923 e perso il posto di insegnante a Lima, il poeta emigrò in Europa, dove visse fino alla sua morte avvenuta a Parigi nel 1938. Fu sepolto nel Cimitero di Montparnasse.

Durante la sua vita conobbe e divenne amico di alcuni noti pensatori peruviani suoi coetanei, come Antenor Orrego, Abraham Valdelomar, Víctor Raúl Haya de la Torre e José Carlos Mariátegui.

“... mi sto chiarendo molte idee e molti sentimenti delle cose e degli uomini americani. Mi sembra che ci sia la necessità di una gran collera e di un terribile impulso distruttore di tutto ciò che esiste in questi luoghi. E’ necessario distruggere e autodistruggersi. Ciò non può continuare; non deve continuare. Poiché non ci sono dirigenti sui quali poter contare, è necessario, di conseguenza, unirsi in un folto gruppo di persone ferite ed indignate, e spaccare facendo a pezzetti tutto quanto ci rode e sta alla nostra portata. E sopra tutto è necessario la nostra autodistruzione e poi quella degli altri. Senza il previo sacrificio di uno stesso, non c’è salvezza possibile.”

IN PIEDI PRESSO UN SASSO

In piedi presso un sasso,
disoccupato,
abietto, raccapricciante,
ai bordi del Sena va e viene.
Dal fiume sgorga allora la coscienza,
con picciolo e graffi di un albero avido;
dal fiume sale e scende la città,
fatta d’abbracciati lupi.
Chi è lì la vede che va e che viene,
monumentale, porta i suoi digiuni
nella testa concava,
nel petto i suoi pidocchi purissimi,
e sotto
il suo piccolo suono, quello della sua pancia,
silenzioso tra due grandi decisioni,
e sotto,
più sotto
un foglietto, un chiodo, un cerino...
Questo è, lavoratori, colui
che nel lavoro emanava sudori,
che suda dentro la sua secrezione
di sangue rifiutato!
Fonditore del cannone, che sa quanti
artigli
sono d’acciaio,
tessitore che conosce i giusti fili
delle sue vene,
muratore di piramidi,
costruttore di colonne dai sereni
pendii, con trionfali insuccessi,
se ne va nella folla
immobile individuo fra trenta milioni
di immobili,
che forza il ritratto sul suo tallone
e che fumo quello della sua bocca digiuna, e come
la sua figura incide, canto a canto,
nella sua corazza atroce, immobile
e che idea di dolorosa valvola nel suo
zigomo!
Così fermo il ferro davanti al forno
ferme le sementi con le loro docili
sintesi nell’aria,
ferme le luci artificiali,
ferma nella sua autentica apostrofe la luce,
fermi nella crescita gli allori,
ferme le acque agitate ai piedi
e sulla terra stessa,
ferma per lo stupore davanti a quell’arresto.
Che forza il ritratto nei suoi tendini!
che trasmissione allacciano i suoi cento passi!
come stride il motore nel suo malleolo!
come bofonchia l’orologio, passando
impaziente
sulle sue spalle!
come ode deglutire i padroni
il grano che gli manca, compagni,
ed il pane che si riempie di saliva,
e, udendolo, sentendolo, al plurale,
umanamente,
come ferma il lampo
la sua forza senza testa nella sua testa!
e ciò che fanno, sotto, allora, ahi!
Più sotto, compagni,
il libretto, il chiodo, il cerino,
il piccolo suono, il padre pidocchio!

Traduzione: Maria Luz Loloy Marquina, Enea Biumi

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