Arnold de Vos - "Arte e Cultura: Poesia, Romanzo, Scrittura, Musica e Teatro"

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Arnold de Vos

Biobibliografia
Arnold de Vos (L’Aja, 1937) vive da tempo fra Tunisi, Trento e Selva di Grigno in Valsugana. Poeta in patria, laureato in lettere neerlandesi e italiane, traduttore in olandese di Vittorini, archeologo (A. e M. de Vos, Pompei Ercolano Stabia, Laterza, Bari 1982), studioso di letteratura orientale, tra le sue pubblicazioni più recenti ricorda: Il portico (Gazebo, Firenze 1985), Responso (premio Sikania, Ragusa 1990), Paradiso e destino o La perla insonne delle pudende (Sciascia, Caltanissetta 2000: premio Città del Pittore Guastaferro, con Peter Russell), Merore o Un amore senza impiego (Cosmo Iannone, Isernia 2005). Ha pubblicato su “Salvo imprevisti”, “Arenaria”, “GRADIVA. International Journal of Italian Poetry”, “Le Voci della Luna”, “Pagine”, “Kúmá”, “Sagarana” e “El-Ghibli”. Una sua intervista con Davide Bregola è inclusa ne Il catalogo delle voci. Colloqui con poeti migranti (Cosmo Iannone, Isernia 2005). Nel 2006 ha pubblicato la raccolta di poesie Vertigo, per le Edizioni del Leone (quarta di copertina di Paolo Ruffilli). Nel 2007 a New York è uscita la raccolta di versi Il nudo è il tuo abito talare/ Nakedness Is Your Priestly Robe (Gradiva Publications), edizione bilingue con prefazione di Mia Lecomte (trad. Adeodato Piazza Nicolai). Nel 2008 pubblica Sublimazione (ICI Edizioni, Napoli, postfazione di Lidia Marzotto)

Poeta olandese che scrive in italiano
Versione al castigliano di Carlos Sanchez


Nato da donna,
sei morto uomo
e ti sei mostrato più grande del Padre, figlio.
L’hai invocato dalla croce,
da golgota a Golgota penso:
non so se abbia sofferto o goduto
nel vedersi impiccolito da Te
che gli chiedevi aiuto. Un Dio
stoico s’è dimostrato.
A posteriori ti ha fatto male il giubilo
dell’assunzione in cielo.
In fatto di redenzione qui è la solita stalla.
È ora che la stella ricompaia.

Trento, 26.07.2010 (inedito)

Nacido de mujer,
has muerto hombre
y te has mostrado más grande que el Padre, hijo.
Lo has invocado de la cruz,
de gólgota a Gólgota pienso:
no sé si haya sufrido o gozado
en verse empequeñecido por Ti
que le pediste ayuda. Un Dios
estoico se ha demostrado.
A posterior te ha dolido el júbilo
de la asunción en cielo.
En hecho de redención aquí está el usual establo.
Es ora que la estrella reaparezca.

Trento, 26.07.2010 (inédito)

La sua poetica

La mia poesia è scritta in presa diretta. Facile o meno facile che essa sia, da non italiano che sono pongo subito l'accento sull'oralità della vicenda: il tu spesso idealmente presente (che non è il lettore, anche se sarebbe seducente l'idea che lo fosse), i miei enjambement ("barbarismi", come qualcuno [Luca Baldoni] li chiama), il discorso sbrigativo. Ho la lingua tagliente, ma solo in italiano: per quanto bilingue, non traduco dalla mia lingua né riesco a tradurre nella mia lingua le poesie concepite in italiano. "Concepite" non è poi la parola giusta, penso: sono un essere scisso che scrive di getto quello che l'altro gli dice all'orecchio. Senza questa voce come poeta non funziono: quel che sembrava sapido diventa sciapo, il volo tridimensionale che mi rapisce mentre scrivo diventa una cosa piatta. Forse il dialogo attraverso la membrana  che separa le mie due parti fa risonare la mia poesia, senza ambiguità. La fuga nell'altra lingua (l'italiano nel caso) diventa fuga nel senso bachiano se va bene, se non va bene l'olandese volante ammaina le vele e si dà allo studio. E qui arriviamo al lato dotto, che implica che la mia poesia non è certo una poesia "facile". Non sta a me giudicare, che non scelgo i miei modelli letterari, per intenderci. Plasmo in lingua l'argilla che mi sembra appetibile: "Nasco per rabbia e per dolore, lingua salace insonora: lingua di giorno lingua di notte, lingua che langue lingua che fotte:
lingua per rabbia che per dolore mi taglio ogni tanto. E taglio un fiore" , scrivevo nel lontano 1981 (Salasso), e sono veri salassi le mie poesie che appianano la tensione quando la pressione è troppa

[Da: Puntoacapo. E due anni dopo.
Antologia dei Poeti Puntoacapo
(puntoacapo Editrice, maggio 2010: pp. 49-50)]

Nota: Di Arnold de Vos,  
in una corrispondenza con il traduttore spagnolo

Sobre la poética de Arnold de Vos
.
La mía poesía está escrita en toma directa. Fácil o menos fácil que ella sea, de no italiano que soy pongo enseguida el acento sobre la oralidad del hecho: el tú a menudo idealmente presente (que no es el lector, aunque sería seductora la idea que lo fuera), mis enjambement ("barbarismos" como alguien [Luca Baldoni] les llama) el discurso apresurado. Tengo la lengua cortante, pero sólo en italiano: por cuánto bilingüe, no traduzco de mi lengua ni logro traducir en mi lengua las poesías concebidas en italiano. "Concebida" no es pues la palabra justa, pienso: soy uno ser escindido que escribe a chorro lo que el otro le dice a la oreja. Sin esta voz como poeta no funciono: aquellos que parecía sabroso
se convierte en desabrido, el vuelo tridimensional que me secuestra mientras escribo se convierte en una cosa chata. Quizás el diálogo a través de la membrana que separa mis dos partos hace resonar mi poesía, sin ambigüedad.
La fuga en ella otra lengua (italiano en este caso) se convierte en fuga el sentido bachiano si va bien, si no va bien el holandés volante amaina las velas y se da al estudio. Y aquí llegamos al lado docto, que implica que mi poesía
(non es cierto una poesía "fácil” ). No me corresponde a mí juzgar, que no elijo mis modelos-literarios, para entendernos. Plasmo en la lengua arcilla que me parece apetecible: “Nazco por rabia y por dolor, lengua salaz insonora:
lengua de día lengua de noche, lengua que languidece lengua que jode: lengua por rabia que por dolor me hiero cada tanto. Y corto una flor”, escribía en el lejano 1981 (Sangría), y son verdaderas sangrías mis poesías que aplanan la tensión cuando la presión es demasiada alta.

[De: Puntoacapo. Y dos años más tarde.
Antología de Poetas Puntoacapo
(puntoacapo Editora, Mayo de 2010: pp. 49-50)]

Nota: De Arnold de Vos, en una correspondencia
con el traductor español.

a C.S.

Ogni tanto mi partorisci, parola:
voce a sesto acuto,
ricrei uno spazio interiore
di sobrietà normanna ingentilita
da armonia rabescata. Nel pozzo
di questo chiostro interno
gorgoglia l’acqua piovana
e rama la pozzolana dorata
sedimentata dal tempo
con i suoi detriti, di cui sono un germe
muto quando non mi fai parlare.

Trento, 10.07.2010 (inedito)

a C.S.

De vez en cuando me das a luz, palabra:
voz a sexto aguda,
recreas un espacio interior gentilizado
de sobriedad normanda afinada
por armonía arabescas. En el pozo
de este claustro interior
gorgotea el agua pluvial
y rama la puzolana dorada
sedimentada por el tiempo
con sus detritos, del que soy un germen
mudo cuando no me haces hablar.

Trento, 10.07.2010 (inédito)

L’éternel retour
L’eterno è un ragazzino che gioca
(Eraclito, frammento 52)

La poesia è l’eco
che volge la parola in ascolto.
Lontana da tutto, ritornello diafano
stuzzica per la velocità della ricaduta
il suono delle cose, e le fa vibrare e danzare
nella grotta a orecchio
attigua alla cascata della lingua.
Poesia è coesione di vicino e lontano,
l’eterno che torna sui suoi passi
e riprende a giocare con noi.

L’éternel retour
El eterno es un muchachito que juega
(Heráclito, fragmento 52)

La poesía es el eco
que vuelve la palabra en escucha
Lejana de todo, estribillo diáfano
provoca por la velocidad de la recaída
el sonido de las cosas, y la hace vibrar y danzar
en la gruta a oído
próxima a la catarata de la lengua.
Poesía es cohesión de cercano y lejano,
el eterno que vuelve sobre sus pasos
y vuelve a jugar con nosotros.

Te Deum
Non sono altro che quello che sono,
un animale uomo con l’ali
tarpate per tagliarlo corto,
un essere represso per essersi immedesimato
con la bellezza divina, corteggiata
e baciata. Onde diventato un affabulatore
che non può misurarsi con la voce delle Scritture
ma un trombatore ventriloquo,
amplificatore che passa dal basso
il salmo dell’universo.

Da “Κοινον αίσθητήριον”, 20 poesie, giugno - luglio 2010 (Inedito)
Te Deum
No soy otro de ese que soy,
un animal hombre con las alas
cortadas para tallar corto,
un ser reprimido por ser identificado
con la belleza divina, cortejada
y besada. De donde vuelto un fabulador
que no puede medirse con la voz de las Escrituras
pero sí un trompetista ventrílocuo,
amplificador que pasa por lo bajo
el salmo del universo.

De “Κοινον αίσθητήριον”, 20 poesías, junio - julio 2010 (Inédito)

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