Renzo Rocca - eneabiumi

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Renzo Rocca

Da "La Prealpina"

Se ben ho inteso, Giuliano Mangano nel «Prologo» di «Viva e abbasso», Rebellato editore, espone, in forma ironizzante, la repulsa che la gente prova e ha provato per le teste mal fatte, ossia le teste dei poeti. I quali non soltanto sono inutili, ma lavorano su di una tela di ragno, su una nube, sul vapore acqueo. Quindi è perfettamente gratuito infierire con il detto carmina non dant panem. Voglio insomma dire che Mangano dichiara senza pudori che in tempi andati e in tempi moderni, i! poeta era, ed è consideralo, uno sciocco, un buono a nulla, un illuso. Inoltre la poesia è morta, secondo la gente. Restano soltanto sogni e rimpianti per il confezionatore di versi, il quale dovrebbe abbassare la testa come un colpevole. Invece i! poeta non si rassegna, prosegue con il coraggio della disperazione  sulla  propria strada. Quindi egli non è succubo delle convenzioni sociali e continua a far poesia nella speranza di lasciare qualcosa dietro di sé, tra un'aureola di consolazione. «Viva e abbasso», 104 pagine, lire diecimila, è diviso in cinque frammenti e scorre tra poemetti e poesie lunghe. In entrambi decisamente circola un'aria che viene a stabilirsi, in definitiva, tra le crepe di certi  mali  e la  problematica dell'esistenza. Non è certo il ricordo a sostenere il discorso poetico e nemmeno il gioco dei  sentimenti,  né  la sfera della misantropia, ma piuttosto un concentrarsi dei problemi vitali del  singolo e della comunità.  Tutto è vita, insegna Mangano, lavoro, politica, soverchio sforzo di superamento. Il passato impallidisce di fronte alle necessità correnti e la diagnosi dell'animo non resta neppure alla retroguardia. Si deve arrancare, districarsi per salvarsi, per indurire il corpo nella lotta con la vita. «Il va e vieni della trancia / che  ci puoi lasciare le dita per sopravvivere/ la lotta dopo tanto/ due locali più due vani accessori/ gescal/ e sul volto la tristezza ingiallisce con l'autunno...».    Poesia esistenziale, priva del fascinoso cielo o del pampino mosso dal vento o della coccinella sulla foglia di melissa o della compatta siepe di ligustro. Il mondo con i suoi delitti ben confezionati, le sue macerie e i suoi veleni, finisce sempre per far capo alla fatica quotidiana, alla catena di montaggio.
Mangano è un poeta, a mio dire, che dovrebbe piacere alle nuove generazioni. Conciso, non privo di efficacia, ricco anche di esotismi che cadono in appropriate intercalazioni, rapido nei flash, storna la favola della natura, cara ai poeti lirici. Il  pensiero in questo autore si rinnova di continuo rivelando una sua singolare rivoluzione che si svolge su gamme accese e dissimili.


Renzo Rocca, La prealpina, 1985

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